[Image credits: Snowmania]
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La risposta di Scrivolo a “Il servo e il padrone” di Tolstoj (scusate l’immodestia).
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Le vetrine dell’autosalone ‘Happy Car’ erano illuminate a festa ma, quella sera, nessuno si fermava a guardare le luccicanti macchine in esposizione. Era la vigilia di Natale, il termometro segnava meno due, e i rari passanti intirizziti camminavano con passo veloce, stringendosi nei cappotti: non vedevano l’ora di arrivare a casa e godersi il cenone in famiglia.
Il signor Andrea D’Andrea, titolare della ‘Happy Car’, aveva chiuso bottega in anticipo: dopo tutto era un uomo di cuore. Magari si dimenticava di versare i contributi e pagava gli stipendi in ritardo, però offriva sempre un piccolo rinfresco natalizio ai suoi dipendenti. Due bottiglie di spumante dozzinale, un panettone e un pandoro comprati al discount, niente di più, s’intende, per via della crisi.
“Questi sono tempi difficili – ripeteva incessantemente il signor Andrea – la clientela diventa sempre più esigente, gli sconti a tradimento dei concessionari ci rovinano, il fatturato diminuisce: dobbiamo sacrificarci!”
Antonio, il più anziano in servizio dei tre impiegati dell’autosalone, sosteneva che la crisi tirata in ballo di continuo dal titolare doveva essere quella dal ’29 perché, negli ultimi vent’anni, non aveva notato variazioni nel tran tran quotidiano della ‘Happy Car’: la sola novità degna di nota nella recente storia della ditta era l’arrivo dei ‘collaboratori’, giovani inesperti che il padrone arruolava a progetto, a contratto, a chiamata, a partita IVA.
Per il commercialista della ditta erano contabili, consulenti di marketing, pubblicitari, informatici, addetti alla segreteria, di fatto, lavoravano come venditori senza diritto alla percentuale sul fatturato… al signor D’Andrea conveniva così: pagava un fisso davvero modesto e il collaboratore che non smerciava almeno quattro o cinque macchine ogni mese andava a casa o, nel migliore dei casi, veniva trasferito al settore ‘tecnico’… lucidatura delle auto in esposizione, pulizia del salone, piccole commissioni, volantinaggio. Come se non bastasse, la naia dei disperati raramente superava i sei mesi.
“Colpa loro – sosteneva Stefano, l’impiegato che gestiva il Personale – se tutti rifiutassero il capestro dei contratti atipici, i padroni sarebbero costretti ad assumere come dio comanda”, “No, colpa dei politici – replicava Carlo, il ragioniere che, da tre lustri, rendeva presentabili gli accrocchi contabili dell’autosalone – si sono inventati la flessibilità per legalizzare il lavoro al nero!”
Rosanna Bogo