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I segnalibri di Sant'Agostino

Il 28 Agosto la Chiesa Cattolica festeggia Sant'Agostino. Noi abbiamo preparato dei segnalibri, utilizzando l'opera di Simone Martini. Potete scaricarli dall'area di download.

 

Articoli con tag amore

L’assuefazione

ORE 9:00 – Questa volta sono stata decisa. L’ho trattato male. Gli ho detto di non infastidirmi più, che tanto non mi innamorerò mai di lui. E come potrei innamorarmi di uno che è capace, in una sola mattinata, di scrivermi più di venti messaggi? Ho dovuto togliere la suoneria del cellulare, ho lasciato solo la vibrazione. Ieri mattina, a quest’ora, me ne aveva già mandati cinque con scritto “mi manchi” ed altrettanti con “ti penso sempre”. Gli ho risposto secca con: “Io no”. Ma quanto spende, al mese, di cellulare?

ORE 10.30 – Non ci posso credere….neanche un messaggio. Ah, che meraviglia!

ORE 12.00 – Che bello! Ha funzionato…non ha chiamato, non ha scritto, non è neanche su Facebook. Mi sono collegata poco fa e non ha tentato di iniziare una conversazione in chat, come accadeva negli ultimi tempi ogni volta che osavo accedere. Finalmente mi sento libera.

ORE 13.00 – Gli sarà mica successo qualcosa? Non sarà che l’ho trattato troppo male…?

ORE 14.00 – Bisogna che sappia se è andato in ufficio oppure no, ma senza che lui se ne accorga. Potrei chiamare la sua collega Luisella con la scusa di chiederle quando riapre la palestra di suo marito. Vorrei solo sapere se sta bene. Così sarà tutto risolto.

ORE 14.30 – Ok, in ufficio c’è; l’ho sentito parlare mentre conversavo con Luisella e il tono di voce era quello di sempre. Stava scherzando con qualcuno, forse con quella che lo chiama sempre quando andiamo a cena fuori. Quando andavamo cena fuori, pardon. Ora sono libera di uscire senza sentirmi in dovere di invitarlo. Ah! Che bello!

ORE 15.00 – Tra poco uscirà, non si è fatto sentire per niente. Finalmente. Più tardi esco anch’io e vado a fare spese in centro.

ORE 15.30 – Niente messaggi, niente mail. Ha scritto sulla sua bacheca di Facebook che oggi è una bella giornata di sole. Sta bene, meno male. Meno male, perché io, invece, mi sento terribilmente sola…

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Beatrix

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Enrico XXII

E alla fine eccolo là, Enrico XXII, il grande re che aveva conquistato mezza Europa, nascosto dietro l’ultima colonna di quella chiesetta di campagna a spiare 2 ragazzi di una ventina d’anni che si stavano sposando, con la benedizione di pochi invitati ed un loro amico vestito da cerimoniere. Un matrimonio clandestino, furtivo, ma comunque pieno di felicità per quell’amore condiviso in due e accolto da pochi ma calorosi applausi e commossi pianti.

~

Era il 1657 quando, dopo la vittoria sul campo di Ville Bon, dopo 6 lunghi anni, re Enrico XXII tornò nel suo castello. Ad attenderlo, una grande festa, banchetti, balli, i favori notturni di sua moglie e delle altre sue amanti (in realtà preoccupate nell’immaginare quali altre donne avevano riscaldato il giaciglio del re in quegli anni) e un figlio diventato ormai un uomo. Furono richiamati a corte tutti i saltimbanco del regno, cantori, prestigiatori, tutto quello che serviva per rendere onore ad un re, al suo esercito e a quella vittoria schiacciante che aveva riportato sul campo di battaglia.

Fuochi d’artificio, balli a corte, salve di cannoni. Seguirono giorni e notti folli, a corte e nei villaggi circostanti.

Passati i primi giorni di festeggiamenti, la vita a corte tornò a scorrere normale, solo la presenza del re, a cui non erano più abituati da tempo, continuava a creare qualche imbarazzo e, al contempo, felicità. Un uomo con una personalità indubbia, la sua presenza a tavola aveva fatto ripiombare le cene in un silenzio lontano 6 anni.

E che il tempo era passato ormai ne era consapevole anche il Re, che riconosceva nel suo specchio i tratti non più giovani del grande condottiero. La sua epoca volgeva al termine, sapeva vedere la realtà, e il tempo del figlio, del suo discendente maschio, del suo unico figlio, stava per iniziare.

Una mattina decise di far visita a suo figlio. Doveva parlargli, voleva parlargli, voleva capire come fossero proseguiti i suoi studi. Si ricordava un bambino fragile, delicato. Gli aveva dato un prestigioso precettore, avrebbe dovuto renderlo un grande re, capace di proseguire la sua storia, un degno erede dei suoi successi. C’era un regno da governare, vicini invidiosi da tenere a bada, matrimoni di convenienza da combinare. Bussò alla camera del figlio, non aveva voluto farsi annunciare, era pur sempre suo figlio e voleva che quella fosse una chiacchierata informale. Bussò di nuovo, ma dall’altra parte della porta non si udì alcun movimento. Il re fece per allontanarsi, pensando a dove potesse essere il figlio. Qualche caccia? Impossibile, sarebbe stato avvertito, tutti sapevano quanto ne era appassionato. Forse una qualche fanciulla… ma aveva chiesto alla moglie di essere aggiornato per quanto riguardava gli impegni amorosi che il figlio aveva già preso, e non aveva saputo nulla.

Tornò indietro per provare ad aprire la porta, appoggiò la mano alla maniglia, che non pose alcuna resistenza e spalancando la camera del figlio alla vista del re. Entrò senza dire nulla, voleva vedere com’era la camera di un ventenne, voleva forse anche ricordare i suoi venti anni, ormai sepolti da tante guerre e dagli impegni di un re.

La camera era in penombra, le grandi e preziose tende ostacolavano i raggi mattutini, ma si intuivano diversi mobili e quadri. Per quel poco che riusciva a vedere, il principe dimostrava un gran gusto estetico, l’arredamento della sua stanza era equilibrato, senza eccessi di sfarzo, e dimostrando una ricercatezza non comuni.

Entrò nella stanza e quasi inconsciamente si diresse verso il letto a baldacchino che occupava la parte centrale della stanza, scostò le tende e si ritrasse immediatamente. Tremava visibilmente. Balbettava, avrebbe voluto gridare qualcosa, ma era come paralizzato, i suoi pensieri fermi a quell’immagine: suo figlio, steso nel suo letto, nudo….abbracciato a Ildemarzio, il figlio del precettore.

Uscì dalla stanza di corsa. La porta rimase spalancata a mostrare al mondo quell’amore diverso, a mostrare a tutta la corte quel disonore che il re sentiva cadutogli addosso. Lui sempre contornato di cortigiane. Il grande re che aveva sognato un erede degno del suo nome, e che invece da quel giorno sarebbe diventato lo zimbello di tutte le corti d’Europa. Nessun matrimonio da celebrare, nessuna alleanza da stringere, sentiva già le risa dei suoi pari. Entrò, senza neanche bussare, nella stanza della regina. Sorpresa alla scrivania, si alzò per andare incontro al suo sposo, ma si trovò di fronte ad uno schiaffo potente che la fece ricadere seduta alla stessa sedia.

La regina, con una mano alla guancia ferita, cercava di chiedere spiegazioni, perché tanta rabbia, perché quell’uomo, che mai era stato violento con lei, quel giorno l’aveva trattata così, con quali motivazioni. “Tu lo sapevi!” “Che cosa? Sei agitato, cos’è successo?” “Tu lo sapevi – ripeteva il re, senza il minimo accenno a calmarsi – e non lo hai fermato!” “Che cosa, Enrico, per l’amor del cielo, spiegami!” “Tuo figlio. Quello là!” ed uscì dalla stanza.

Fece preparare i suoi servitori, voleva andare sul lago, una mezza giornata da solo, per pensare, per riflettere su tutta quella vicenda.
Il giorno seguente il re tornò nella sua reggia e dette ordine ai suoi servitori di preparare la carrozza. “Dove andate, sire?” “Vittorio, mio figlio andrà via oggi stesso. Chiama il precettore, voglio parlargli!” “Come volete, signore.” ed uscì.

Al precettore parlò della delusione che aveva provato, tradito dal figlio, dalla moglie e dall’insegnante che aveva voluto per il figlio. Guido sapeva che cosa lo attendeva, sperava soltanto di riuscire a salvare il suo Ildemarzio, e supplicò in tal senso il re perché sfogasse su di lui la sua rabbia. Aveva tentato di fermarli, disse al re, ma il loro amore sembrava irrefrenabile.

Enrico XXII ordinò alla sua guardia privata di accompagnare nelle segrete il precettore nello stesso momento in cui il figlio stava salutando la madre e saliva nella carrozza per una destinazione che ancora non conosceva.

Il figlio del precettore, nel frattempo, era scomparso.

~

5 anni più tardi un servitore consegnò nelle mani della regina una lettera. Era l’invito ad un matrimonio, in una chiesetta campestre, ormai sconsacrata. Nessun nome riportato, ma il suo cuore batteva nella speranza che quell’invito fosse opera del figlio.

Passato un primo momento di gioia, la regina decise di parlarne al re. Enrico XXII, saputa la notizia, si fece subito rosso di rabbia, voleva proibirle di presenziare, ma in realtà quella proibizione voleva rivolgerla a se stesso. In tutti quegli anni nessuno aveva più osato nominare il principe e chiunque aveva fatto solo un minimo accenno a quella vicenda, era stato allontanato con uno sguardo durissimo da parte del re. Ma quel figlio gli mancava, enormemente. Sapeva che era stato uno sbaglio cacciarlo via come un appestato, ma non avrebbe potuto fare altrimenti, era pur sempre il re e quel suo ruolo veniva prima dell’amore familiare, lo sapevano tutti a corte.

La celebrazione si sarebbe svolta il giorno successivo, e per tutta la notte, in due letti separati, il re e la regina penavano per il terribile ricordo e per quel matrimonio. Fin dal giorno in cui il re aveva cacciato il figlio, la regina non aveva voluto più dormire col consorte, per una sorta di punizione: per lui che aveva cacciato il figlio, per se stessa che non aveva avuto la forza di opporsi a quella decisione. Il re, dopo un primo rifugiarsi nel letto delle amanti, aveva cominciato ben presto a rassegnarsi a quella colpa e a volerla scontare.

Il re, dopo quella notte insonne, per tutta la mattina fece finta di nulla, mancavano ancora 2 ore al matrimonio e non traspariva alcuna emozione dal suo volto. D’altro canto, la regina era intenta nei suoi preparativi, voleva arrivare al matrimonio elegante. Scelse personalmente sia il vestito che i gioielli con cui ornare collo e mani. La sua agitazione era palpabile, era convinta che fosse suo figlio, sentiva che quel legame che unisce una madre ad un figlio non si era spezzato e non la stava tradendo. Dopo 5 anni, finalmente, poteva riabbracciare il figlio e chiedergli scusa per non aver tentato alcuna difesa e per felicitarsi di quel matrimonio.

Il cocchiere accompagnò la regina alla chiesetta, poi staccò i cavalli per farli riposare e abbeverare alla fonte, e infine si sedette all’ombra di una quercia per aspettare che la cerimonia finisse.

Poco dopo vide passare suo fratello e la sua carrozza, ed accennò ad un sorriso: era quella del re, il quale rivelava finalmente il suo volto umano e dimostrava di essere anche un padre, oltre che un re.

Enrico XXII scese dalla carrozza quando ormai la cerimonia era iniziata, entrò in chiesa e si nascose dietro una delle ultime colonne. Qualcuno lo vide e ci fu un po’ di rumoreggiare tra le panche, finché la notizia non raggiunse tutti i presenti: tutti quanti sapevano perfettamente che cosa voleva dire quella presenza.

In quella chiesetta, per metà diroccata, e ormai abbandonata dal suo prete, due giovani stavano per celebrare il loro amore. Un loro amico vestito da cerimoniere benediva quel loro amore omosessuale sotto gli sguardi della regina e del re ormai completamente in lacrime.

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Juan

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Amore in fuga

Batteva una pioggia incessante da alcuni giorni. Gli alberi erano umidi, tutto era umido quel giorno nel bosco. Dasha assisteva all’ennesimo scontro tra il suo giovane amante Zivi e il vecchio Arish. Era lui che comandava. Glielo aveva ripetuto centinaia di volte, da quando era scoppiato quel loro amore. Era il vecchio Arish che comandava, aveva comandato fino a quel giorno e lo avrebbe fatto finché non sarebbe stato troppo vecchio, finché non avrebbe avuto più la forza di proteggerli tutti. Ma Zivi voleva essere libero di amare la sua Dasha, di decidere dove vivere, dove crescere i figli che avrebbe avuto con lei. E una piccola idea era nata nel suo cervello da un po’ di tempo.

Ne aveva già parlato anche con Dasha. Era l’unica cosa da fare, anche se lei non ne voleva sapere. Aveva paura e non aveva mai vissuto senza la protezione di Arish e Arora, sua madre.

~

“Eccoci, è novembre!” e in questa frase Gilberto racchiudeva tutta la sua preoccupazione per un mese che gli aveva sempre portato guai. Suo padre lo guardava incredulo, possibile che suo figlio, sempre razionale, credesse a certe cose? Non era certo il mese che gli portava male, semplicemente finora erano state coincidenze. Ma le coincidenze, pensava Gilberto, erano davvero troppe. Ogni novembre di un anno pari, dal 2002, gli aveva regalato solo problemi. E la sua auto ne portava evidenti tutti i passaggi. Che in realtà novembre era solo l’apice di un intero anno, l’anno pari, che a Gilberto creava inquietudine. Oltretutto quell’anno era anche più lungo, era bisestile.. “anno bisesto, anno funesto”. In realtà non si ricordava se nel 2004 il 29 febbraio avesse influito nel peggiorare quell’anno, ma certo era stato un giorno in più da far trascorrere prima di giungere all’amato anno dispari.

Il 2009 ormai era alle porte, l’anno che volgeva al termine gli aveva già regalato un piccolo tamponamento e aveva rubato il “naso” alla sua auto, oltre a qualche altro piccolo problema di salute, “magari per quest’anno ho già dato!”.

~

Dopo la discussione col vecchio Arish, Zivi era uscito sotto la pioggia che ormai stava finendo. Doveva essere quella notte. Non avrebbe sopportato un’altra umiliazione del genere. Se Dasha voleva rimanere lì, lui se ne sarebbe andato da solo. Ma non sarebbe mai più rientrato, non si sarebbe voltato indietro quella notte.

Cominciava a calare un po’ di nebbia, la pioggia era ormai cessata. Arora aveva cercato di fermare Dasha, che era uscita a cercare il suo Zivi. Sentiva uno strano odore nella notte, un odore che non le piaceva.

Anche il vecchio Arish sentiva qualcosa, una strana sensazione lo spinse a seguire Dasha che si dirigeva alla grande roccia. Lì qualche mese prima aveva dato il suo primo bacio a Zivi. Lì si ritrovavano ogni sera per parlare, per stare da soli. Lo trovò lì anche quella notte e vide una strana luce nei suoi occhi. Capì subito che Zivi aveva preso la sua decisione. Fece di sì con la testa, sarebbe fuggita con lui, quella era la notte giusta, la nebbia li avrebbe nascosti, la nebbia sarebbe stata la loro alleata.

Arish, fino a quel momento nascosto dietro il grosso castagno, saltò fuori: con un balzo voleva atterrare Zivi, ma quelli lo videro e cominciarono a correre.

~

Gilberto si mise in macchina, sua madre si era raccomandata “Vai piano, c’è nebbia, stai attento agli animali”… Ogni volta la stessa preoccupazione. Certo la nebbia così fitta non lo avrebbe fatto correre, ma aveva tutto il tempo, non aveva fretta, nessuno lo attendeva. Le curve si succedevano più lentamente del solito, i banchi di nebbia non gli permettevano di vedere molto lontano e la sua auto non aveva i fendinebbia “La prossima macchina che mi compro, giuro che ce li faccio mettere” Ogni volta la solita frase, poi al momento dell’acquisto avrebbe risparmiato come sempre quei 200€.

Ecco l’ultima curva, poi un po’ di pace, una bella dritta di un paio di chilometri. Inoltre la nebbia sembrava diradarsi. Il peggio era senz’altro finito.

~

Pochi attimi, finita la curva i fari di una macchina rivelarono le forme di tre cervi, due correvano affiancati, uno dietro di loro a seguirli. La macchina si spostò verso il lato destro della strada ad evitare i primi due cervi. Ma il terzo gli si parò davanti. A terra rimase solo del sangue e i vetri rotti del faro. L’auto tremante continuò il suo lento viaggio. Il cervo continuò per qualche metro la sua corsa, vide i suoi compagni, Dasha e Zivi, fuggire via e si accasciò a terra morente.

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Juan

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Scrivolo

i racconti del nano grafomane

http://www.scrivolo.it

Segnalibri Sant’Agostino

Segnalibri Agostino

Il 28 Agosto la Chiesa Cattolica festeggia Sant’Agostino. Un’occasione, per noi, per ricordare il grande lettore (e scrittore!), morto 1583 anni fa.

Da stampare fronte e retro e  ritagliare: [download id=”52″]

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Dr J. Iccapot