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I segnalibri di Sant'Agostino

Il 28 Agosto la Chiesa Cattolica festeggia Sant'Agostino. Noi abbiamo preparato dei segnalibri, utilizzando l'opera di Simone Martini. Potete scaricarli dall'area di download.

 

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Una notte, un grido, un viaggio – IV

(pseudo-giallo a puntate)

QUARTA PUNTATA: L’EPILOGO

Alla fine dell’interrogatorio Giacomo Forti uscì dalla stanza e si sedette su una gelida panchina di marmo. La donna lo osservò con benevolenza. Se fosse stato il figlio che non aveva avuto, l’avrebbe abbracciato stretto. Invece si limitò a guardarlo. Ad un tratto il giovane si alzò, prese la sua valigia e s’incamminò verso l’uscita della stazione.

“Dove vai?” Qualcuno alle sue spalle aveva parlato. La donna.

“Non si preoccupi. Hanno detto che non sospettano seriamente di noi. Non sanno nemmeno se è accaduto davvero qualcosa di brutto. Forse è stato solo un incubo, io me ne torno a casa”

“Proprio adesso? E’ quasi l’ora del tuo treno.”

“Non lo voglio più prendere, quel treno. Si vede che non era destino”

“II destino… .E tu ci credi?”

Il ragazzo guardò la donna negli occhi.

“Che ne vuole sapere lei del mio destino?” Il tono della sua voce era freddo.

“Ho sentito il tuo racconto. Siamo soli, io e te, in questo posto desolato. Non te ne andare. Stai cercando il tuo futuro…”

“Bella abitudine quella di origliare. Comunque non sono sicuro di avere tutto questo coraggio. Se torno a casa sarà tutto come ieri. Sarò al sicuro.”

La donna si avvicinò a lui. Gli raccontò della sua vita, del figlio perduto, del marito traditore, della figlia in cerca di felicità. Gli disse di aver rinunciato ai propri sogni per la sicurezza di un matrimonio sbagliato. Avrebbe potuto lavorare, avrebbe potuto viaggiare, avrebbe potuto vivere.

Giacomo Forti confessò di avere paura, perché quello in cui aveva creduto gli si era sgretolato tra le mani. La donna che aveva amato non era stata abbastanza coraggiosa da lasciare il marito per lui, perché lei era una donna e lui solo un ragazzo con il cuore adulto. Parlarono a lungo, a voce bassa, come due fiumi che confondono le proprie acque gettandosi nel mare.

Un fischio lontano annunciò l’arrivo di un treno. Una voce metallica turbò il silenzio della stazione: Sul binario uno è in arrivo il diretto per Roma. Prossime fermate…

Giacomo Forti salì su quel treno stringendosi ancora nel suo cappotto scuro. Sul marciapiede una donna lo salutò con la mano. Mentre il treno lasciava la stazione Giacomo pensò che quella era stata la notte più straordinaria della sua vita. Quella donna sconosciuta l’aveva ascoltato e aveva capito. Se non fosse stato per lei non avrebbe più avuto il coraggio di partire. L’aveva giudicata come spesso gli uomini giudicano le donne, l’aveva vista ai fornelli, o col marito, o intenta a viziare un figlio. Non aveva colto niente di ciò che aveva dentro. Non l’avrebbe dimenticata, di questo era sicuro.

Senza sapere neanche il suo nome. Addio, amica mia, e scusami.

Il giorno dopo, a Roma, il ragazzo acquistò un giornale per vedere se le pagine della cronaca riportavano la notizia di un delitto avvenuto nella notte, ma la sua ricerca fu vana. Non era accaduto niente. La donna, a Genova, fece la stessa cosa, con lo stesso risultato. Dalla polizia non ebbero più alcuna notizia.

Qualche anno dopo due bambini si fermarono a giocare intorno alla fontana di fronte al cinema di quella stessa città. Li osservava una donna seduta sopra una panchina. I suoi occhi si fermarono sul manifesto del film in programmazione quella settimana. Si avvicinò per guardare meglio. Tra gli attori della foto le parve di scorgere una faccia nota, in un certo modo familiare. Le tornò alla mente il ragazzo di quella notte trascorsa alla stazione, quella notte che le era rimasta scolpita nella mente, ma che aveva dubitato di aver solo sognato. Forse era lui, che ce l’aveva fatta a realizzare il suo sogno. Poteva essere così? Non ne era sicura.
Una sola cosa gli parve irrimediabilmente certa: avrebbe potuto essere quel figlio che non aveva mai avuto.

E’ possibile scaricare tutto il racconto, in formato PDF, dall’area di download.

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Beatrix

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Una notte, un grido, un viaggio – III

(pseudo-giallo a puntate)

TERZA PUNTATA: L’INTERROGATORIO

L’arrivo di due nuovi poliziotti fermò il flusso dei pensieri dei nostri viaggiatori notturni. Uno dei due si fermò in mezzo alla stanza ed annunciò: “Signori, mi dispiace ma dovrete rispondere a qualche domanda. Là fuori, a circa cinquecento metri dall’entrata della stazione, abbiamo trovato una scarpa da donna ed un fazzoletto sporco di sangue. Siete le uniche due persone che hanno sentito quelle grida, quindi solo voi potrete aiutarci a capire che cosa è successo. Se volete seguirmi….”

Il poliziotto si avviò verso gli uffici della polizia ferroviaria. L’uomo e la donna lo seguivano, ancora in silenzio, con l’animo turbato dal timore di potersi trovare in un guaio inatteso. La stanzetta in cui furono accompagnati era piccola ma ben riscaldata da un grosso termosifone. Uno dei due poliziotti si mise a sedere dietro la scrivania ed indicò due sedie ai due malcapitati. Quando tutti si furono seduti iniziò a parlare:

“Questa notte, precisamente alle due e ventidue, abbiamo ricevuto una chiamata da un telefono cellulare. La voce era quella di un donna che diceva di trovarsi alla stazione e di aver udito delle grida provenire dalla campagna. Quella voce era la sua, signora?”

“Si, ho chiamato io dal mio cellulare. Mi sono spaventata per via di quegli urli.”

“Potrei sapere i vostri nomi ed il motivo della vostra presenza qui a quest’ora di notte?”

L’uomo fu il primo a rispondere. La donna ne fu sollevata, perché il cuore le batteva fortissimo nel
petto. Tutto questo la inquietava. Che notte maledetta.

“Mi chiamo Giacomo Forti. Sto andando a Roma.”

“A quest’ora? E’ sicuro che ci sia un treno, a quest’ora? Di solito qui la notte non ci sono
viaggiatori. Sarà una coincidenza, ma voi siete qui e qualcosa di strano è accaduto nelle vicinanze”

“Senta, non credo di essere sospettato di qualcosa. Non mi sono mosso di qui. Dovevo partire poco
dopo la mezzanotte, ma ho fatto tardi ed ho perso il treno, quindi mi sono messo ad aspettare il
prossimo. Le sembra così strano?”

“Si, mi sembra strano, perché il primo treno per Roma è previsto alle sei e mancano ancora due ore.
Non le conveniva tornare a casa piuttosto che rimanere qui al freddo per sei ore?”

Il giovane tacque. Come poteva spiegare al poliziotto che tornare a casa voleva dire dover dare spiegazioni, magari cambiare idea e perdere il coraggio di mollare tutto? Tuttavia si rendeva conto che il suo comportamento poteva sembrare obbiettivamente strano.

La donna scrutava il poliziotto. L’aveva sicuramente già visto da qualche parte. O era così, o era un tipo talmente insignificante da essere confuso con centinaia di altri uomini qualunque. Però la domanda era ragionevole. Già, ragazzo, perché ti trovi qua al freddo se il tuo treno passa tra due ore? Ed io? Perché non ho controllato gli orari dei treni e non mi sono assicurata che ce ne fosse uno al più presto? Però se non fosse accaduto tutto questo me ne sarei tornata a casa. No, non è vero. Prima di chiedere al marito di mia figlia di venire a prendermi avrei aspettato anche di più. Abbiamo qualcosa in comune, io e te, ragazzo. Siamo soli.

“Per favore, vorrei evitare di parlare della mia vita privata a dei perfetti sconosciuti. Almeno finché
non sarò accusato di qualcosa. E comunque questa signora può testimoniare. Eravamo insieme
quando abbiamo sentito gridare.”

Girò la testa verso di lei. La donna si sentì in dovere di confermare la versione del suo compagno di sventura.

“E’ vero, ci siamo visti subito dopo aver sentito gli urli. Non c’entriamo niente, non abbiamo fatto niente di male. Almeno non alle due e venti di questa notte”

“E lei, signora, mi sa dire per quale motivo non è a dormire nel suo letto? Cosa ci fa qui? Conosce quest’uomo?”

“Non sono nel mio letto perché dovevo commettere un omicidio, quindi sono venuta qui per farlo. Il signore è il mio amante e complice….diciamo che ho ucciso mio marito, anzi, l’amante di mio marito. Ma le pare credibile? Io sono qui perché voglio arrivare a Genova al più presto. Mia madre è in fin di vita, quindi ho una certa fretta. Speravo di trovare un treno, ma dovevo immaginare che le ferrovie italiane non potevano smentirsi. Ho sentito gridare, ho avuto paura, ho visto il signore vicino alla cabina del telefono e mi sono avvicinata, perché noi esseri umani amiamo stare in compagnia, specialmente se è notte fonda. Le basta?”

Il poliziotto rimase un po’ in silenzio. Probabilmente il tono ironico e amaro della donna l’aveva colpito.

“Va bene, signora, lei può andare. Lei, invece, ancora no. Voglio sapere qualcosa di più. Ah, signora, le nostre indagini continueranno tutta la notte. Vuole lasciarmi un recapito? Potremmo avere ancora bisogno di lei.”

Dopo averle fatto compilare un foglio con le generalità le fece cenno di uscire e chiudere la porta. La donna obbedì, ma provò un certo disagio nel lasciare il giovane da solo. Non poté fare a meno di origliare. Sentì il ragazzo raccontare al poliziotto del suo sogno di fare l’attore, della sua storia d’amore mancata. Non era uno scrittore, non era uno studente saccente. Era un ragazzo disperato in cerca della propria vita. Provò una tenerezza infinita per il suo compagno di viaggio, solo come lei, ma molto più giovane e soprattutto molto più deluso di quanto non fosse lei alla sua età.

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Una notte, un grido, un viaggio – II

(pseudo-giallo a puntate)

SECONDA PUNTATA: I PENSIERI

L’uomo e la donna rimasero di nuovo soli, ma almeno erano riparati dal freddo e dal buio. L’uomo pensò che forse la donna avrebbe voluto continuare la conversazione, ma non aveva alcuna voglia di farlo. Si trovava alla stazione a quell’ora per un motivo ben preciso, che non poteva dimenticare. La donna continuò a guardare quel giovane che sembrava voler calcare un cerchio sul pavimento con i suoi passi. In fondo aveva un’aria tenera. Appariva imbarazzato e pensoso. Provò ad immaginarlo sui libri. Doveva essere uno studente, oppure un musicista. Gli guardò le mani, ma non sembravano le mani di un violinista o di un pianista. Sembravano più di uno scrittore. Non aveva anelli, probabilmente non era sposato, ma sicuramente aveva una ragazza, carino com’era. Se sua figlia avesse saputo scegliere meglio il fidanzato non si sarebbe trovata con due bambini piccoli – gemelli, come se non bastasse – e un marito sull’orlo del fallimento. Invece aveva voluto fare la fuga d’amore. Romantica, certo, molto romantica. Ma poi finisce, e le conseguenze piangono e mangiano. Quante volte gliel’aveva detto, di non essere precipitosa. E quante volte sua figlia aveva promesso di darle retta. Tutte promesse sprecate. “Voglio essere felice” le aveva detto il giorno prima di scappare col suo eterno amore. Come se fosse facile. Come se la felicità esistesse davvero. Lei lo sapeva, che quello di essere felici è un sogno vano, che non si è mai soddisfatti, che una vita perfetta non è una vita possibile. Lo aveva saputo fin da piccola, sentendo litigare i suoi per i soliti problemi di soldi. Lo aveva provato sulla pelle quando il suo primo bambino era nato e subito morto, come se il destino avesse voluto mostrarle quello che avrebbe potuto avere ma che non le era stato concesso. Se fosse vissuto avrebbe avuto all’incirca l’età del ragazzo che aveva di fronte adesso, l’età di quello sconosciuto che stava condividendo con lei la notte più strana della sua vita.

II giorno in cui il suo matrimonio era finito non aveva provato dolore, aveva solo sentito un po’ di nostalgia, non di quella vita familiare che non era riuscita mai a cucirsi addosso, piuttosto della sua giovinezza, che se ne andava insieme a quelle firme. Suo marito si era preso gli anni migliori della sua vita e non li avrebbe restituiti. Questa era l’unica verità possibile. Da quel giorno erano stati i problemi di sua figlia a riempirle la vita. Crescere i gemellini era un compito che si era addossata volentieri, ma certe volte pensava che, forse, la sua esistenza avrebbe potuto essere cento volte diversa, cento volte migliore. Poi i suoi fratelli si erano rifatti vivi, dopo anni di quasi totale silenzio. La sera prima, all’improvviso, le condizioni di sua madre erano peggiorate e si era resa necessaria la presenza dell’unica figlia femmina, per accudirla negli ultimi giorni della sua lunga vita. Si era fatta portare alla stazione da un taxi. Voleva prendere il primo treno, temeva che aspettare ancora potesse privarla della madre. Se avesse pensato di dover attendere così, in compagnia di un giovane silenzioso, in una stazione quasi deserta dove qualcuno aveva dovuto gridare così forte da squarciare il silenzio avrebbe forse deciso di partire l’indomani.
Ce l’aveva un po’ con il ragazzo, che sembrava intenzionato a non pronunciare parola.

Ehi, siamo da soli in una stazione, ragazzo, cerca di essere carino e dimmi qualcosa.

Ma l’uomo sembrava assorto in tutt’altra conversazione. Doveva essere uno di quegli studenti che credono di sapere tutto e degnano di attenzione solo chi reputano alla propria altezza. Evidentemente era troppo vecchia, o troppo donna, o entrambe le cose. Continuava a girare in cerchio e a guardare il pavimento. Neanche fosse un’opera d’arte. Andiamo, dimmi qualcosa. Guarda che non sei simpatico e ora che ti guardo bene non sei nemmeno un bel ragazzo. Hai il naso un po’ storto verso destra, te l’hanno mai detto? E tra qualche annetto potresti essere calvo. A pensarci bene anche il mio ex marito cominciò così a perdere i capelli. Prima una leggera stempiatura, poi arriva l’autunno e le foglie cadono dagli alberi. Se tu fossi il figlio che non ho forse sarei preoccupata per questo sguardo da pulcino ferito. Invece, mio figlio non è stato.

L’uomo alzò un attimo la testa per lanciarle un’occhiata distratta. I pensieri che lo tenevano incollato con Io sguardo al pavimento non gli davano tregua. Forse a quest’ora suo padre si era già accorto che non era rincasato e forse aveva già svegliato sua madre per dirle che quel suo figlio disgraziato se n’era andato. Avrebbe già dovuto essere in viaggio, se tutto fosse filato liscio, se una titubanza non l’avesse fatto tornare sui suoi passi, per poi fargli di nuovo cambiare idea e riportarlo sulla strada della stazione. Appena in tempo per vedere il treno sparire all’orizzonte, senza che lui avesse potuto salire. E ora si trovava in questa insolita situazione. Il giorno dopo, a Roma, nel pomeriggio inoltrato, avrebbe sostenuto l’ennesimo provino, per una parte poco importante con la compagnia teatrale di un vecchio amico. Non aveva ancora deciso che cosa avrebbe recitato per fare colpo sulla commissione che lo avrebbe giudicato. Forse un pezzo di “Novecento”, il monologo di Baricco, oppure qualche stralcio di Pennac. O forse era meglio andare sul classico, magari Shakespeare. Se non fosse andata bene si sarebbe cercato un lavoretto a Roma, la capitale del mondo, in attesa di un altro provino. Prima o poi qualcuno lo avrebbe notato. Da quella notte era più solo, senza genitori, senza lei.

A suo padre aveva scritto una lettera. A quel suo padre che lo voleva avvocato aveva chiesto perdono. Non ci riusciva, a realizzare i sogni degli altri. Dopo dieci anni di tentennamenti, stava prendendo possesso della sua vita. Dieci anni di lavoretti saltuari, di bugie sulla mancata iscrizione all’università, di silenzi sui sogni covati, Poi la storia con lei, la donna sposata che lo guardava dalla finestra, la donna che gli aveva rapito l’anima e se l’era mangiata. Per due anni si erano visti ogni giorno, di nascosto dal marito troppo impegnato con la segretaria per accorgersi che sua moglie si era innamorata di un ragazzo. Aveva insistito a lungo per convincerla a lasciarlo e a ricominciare tutto insieme a lui. Alla fine si era arreso. Anche per questo se ne andava. Vederla passeggiare al braccio del marito, con la stessa pelliccia che indossava la prima volta che si erano baciati gli faceva un gran male. Ci mancava solo dover trascorrere una notte intera con una donna che ne indossava una quasi identica. Chissà se si è accorta che non la guardo mai. Non lo può sapere, ma quella pelliccia mi fa venire i brividi. E poi anche lei un po’ le somiglia. Forse è un po’ meno bionda, ma da lontano le assomiglia veramente. Chissà se anche tu sei una moglie devota. Sì, lo sei, ne hai l’aria. Se ci fosse tuo marito ti stringeresti a lui come ho visto fare a lei. Sei una di quelle mamme che cucinano per i figli? Il terrore delle fidanzate. Le classiche suocere che vogliono che il loro piccolo si sposi ma poi hanno paura che la nuora non sia all’altezza. Non so se mia madre mi ha viziato. Non mi pare, ho dovuto lottare per farmi rispettare. Ho il mio carattere, papà, quante volte te l’ho dovuto ripetere. Voglio fare l’attore, ci devo provare, se no mi sentirò sempre un fallito, lo vuoi capire?

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Beatrix

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Una notte, un grido, un viaggio – I

(pseudo-giallo a puntate)

PRIMA PUNTATA: IL GRIDO

Sono tanti i motivi che possono portare un uomo nei pressi di una stazione ferroviaria. II più comune è, ovviamente, il bisogno di prendere un treno, e a volte lo si prende per andare lontano, verso altri lidi, verso un’altra vita. Nella nostra stazione era notte fonda quando si udì un grido lacerante provenire dal buio della pianura antistante. E un grido nel pieno della notte turba ogni sonno, scuote gli animi più inermi. L’uomo che si trovava alla stazione, appoggiato alla cabina telefonica sul marciapiede, ebbe un sussulto. Guardò l’orologio, scuro, appeso al muro sulla sua testa: segnava le due e quindici minuti. L’uomo dubitò che l’orologio della stazione segnasse l’ora precisa. I treni non rispettano mai gli orari scritti sui cartelloni giallognoli stinti dalla luce del sole. Gli orologi delle stazioni devono essere in qualche modo solidali, devono avere qualche minuto di anticipo, o di ritardo, come i treni. Forse erano le due e venti. L’uomo scrutò il silenzio avvolto dal buio. Strinse le spalle dentro al cappotto, ma il freddo aveva raggiunto le sue ossa, e solo il calore buono di un caminetto acceso avrebbe potuto scacciarlo. Mentre assaporava l’ennesimo brivido che gli saliva su per la schiena, l’uomo udì il secondo grido, più sordo del primo, ma nitido come una pennellata scura su una tela bianca. E subito dopo sentì anche i passi di un uomo, o di una donna, avvicinarsi. Un ombra divenne più nitida sotto la luce tiepida della luna piena. “Ha sentito anche lei?” L’ombra aveva la voce di una donna. Ma cosa poteva fare una donna, apparentemente da sola, in una stazione deserta alle due di notte? Prima di rispondere l’uomo pensò che probabilmente la donna si stava ponendo la stessa domanda su di lui. Ma non aveva voglia di spiegare, quindi evitò dì fare domande e si limitò a rispondere. “Si, ho sentito. Spero che non sia accaduto niente di grave.”

“Io chiamo la polizia” gli rispose la voce femminile, mentre lui cercava di indovinare nella penombra i lineamenti di quel volto sconosciuto. Non aggiunse altro. Nei minuti che seguirono i due si limitarono ad aspettare che accadesse qualcosa. L’uomo aspettava che la donna chiamasse la polizia. Lei probabilmente aspettava di essere rassicurata da quello sconosciuto con cui condivideva la solitudine della stazione. Entrambi aspettavano, forse, un altro grido. Dopo qualche minuto la donna estrasse un telefonino dalla borsa e fece ciò che aveva annunciato. Il poliziotto che le rispose promise svogliatamente che avrebbero mandato qualcuno a controllare. Rimasero così, silenziosi, ad attendere. L’uomo si chiese per quale motivo la stazione fosse chiusa dall’interno e perché non ci fosse nessun ferroviere a far la guardia ai binari. – I treni viaggiano anche di notte, dovrebbe sempre esserci qualcuno – Invece sembrava che la stazione fosse abbandonata a se stessa. La donna pensava che chi aveva gridato doveva essere stato ucciso. Non si sentiva più alcun rumore. Si chiese se l’uomo che aveva vicino non fosse un assassino o un ladro. Lo osservò, cercando di non farsene accorgere. Era un bel ragazzo, piuttosto giovane, poteva avere trent’anni anni al massimo. Aveva lo sguardo scuro e l’espressione di chi ha il vuoto dentro. Però non sembrava un malfattore. Si accorse che stava osservando le sue scarpe, con i tacchi alti pieni di terra per via della corsa fatta nel buio subito dopo aver udito il primo grido. Sperò che arrivasse qualcuno.

Nessuno dei due avrebbe saputo dire quanto tempo era passato dal momento della telefonata quando i fari di un’auto squarciarono il buio. Scesero due poliziotti.

“Abbiamo avuto una segnalazione. Siete voi che avete telefonato?”

“Sono io” rispose la donna ” Vi ho chiamato perché abbiamo udito delle grida”

“Quanto tempo fa?” chiese uno dei poliziotti, quello più alto, mentre l’altro cercava di aprire la porta a vetri che portava all’interno della stazione. La donna non rispose, pensosa. E’ difficile avere la cognizione precisa del passare del tempo, se ci si trova da soli, di notte, in una stazione deserta.

“Erano le due e venti” intervenne l’uomo all’improvviso.

” Siete insieme?” chiese il poliziotto

“Non ci conosciamo neanche” ribattè lui con tono freddo.

Il poliziotto che armeggiava con la porta a vetri era riuscito ad aprirla. Nell’ufficio del capostazione, questi dormiva sdraiato su una branda. Lo svegliarono, ma era evidente che non aveva udito niente di strano mentre dormiva. La donna pensò che stesse mentendo – Due grida del genere avrebbero svegliato chiunque

All’interno della sala d’aspetto la temperatura era decisamente più gradevole e la luce vivace di un grosso neon sembrava riscaldare ulteriormente l’atmosfera. Finalmente l’uomo e la donna poterono guardarsi in faccia. La donna era sulla cinquantina, aveva un cappotto di pelliccia e un cappellino nero in testa. L’uomo pensò che aveva l’aria di essere una moglie. Tipica moglie media di un marito medio. Tìpica madre di un ragazzo con gli occhiali, bravo a scuola e un po’ imbranato. Pensò a se stesso adolescente, a sua madre che poteva somigliare a quella donna misteriosa incontrata per caso in una strana notte d’inverno.
“Deve prendere il treno?”
Solita domanda cretina – si disse la donna subito dopo aver pronunciato quelle poche parole – In una stazione ci si va per prendere il treno, che altro?

“Si, devo andare a Roma. E lei?”

“Io vado a Genova da mia madre. Sta male, poverina. Mi hanno chiamato i miei fratelli. Devo occuparmi di lei, adesso.”
I poliziotti avevano finito di parlare con il capostazione e si avvicinarono alla sala d’aspetto. Dissero che non c’era motivo di pensare che fosse successo qualcosa di grave, che magari si trattava di due coniugi che stavano litigando, ma assicurarono che avrebbero controllato tutta la zona circostante.

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Delitto senza castigo – IX

scaffalecuboNona

Ultima puntata.

Da: adelia.edelwaiz@libero.it
A: galba.demause@unino.it

Caro Professore, il commissario Lo Bue sostiene che la scoperta di un frammento di verità a volte può fare luce su una complicata vicenda in apparenza del tutto estranea. Conosce la teoria del battito delle ali di una farfalla che produce effetti all’altro capo del mondo?
I testimoni, afferma Lo Bue, mentono oppure nascondono fatti che ritengono secondari o non collegati all’indagine senza rendersi conto che così possono depistare gli inquirenti, perché il particolare occultato, a volte, è proprio l’indizio indispensabile per risolvere il caso: si determinano così errori giudiziari che un po’ di sana sincerità avrebbe evitato.
Io penso che abbia assolutamente ragione e per questo ho deciso di svelare un segreto che mi pesa sul cuore da tanti anni. E credo che lei abbia diritto di conoscerlo per primo, s’intende dopo il commissario.
Come le ho già riferito, ho consegnato a Lo Bue un pacco di lettere anonime indirizzate a suo fratello. Il commissario si è subito interessato alle missive e mi ha lungamente interrogato: voleva sapere quando avevo conosciuto Girolamo e se ricordavo un fatto accaduto all’epoca in cui lavoravo come bibliotecaria nell’Istituto di Studi Medievali.
La direzione si era accorta della scomparsa di alcune pregevoli miniature ed un custode era stato incolpato del furto. La guardia giurata dell’Istituto, perquisendo lo spogliatoio del Personale, aveva trovato nel suo armadietto un frammento di pagina miniata: il dipendente non era stato denunciato alle autorità, ma aveva perso il posto.
Ho risposto che ovviamente mi ricordavo della vicenda del custode Mario Grandi detto Marione, un padre di famiglia molto ligio al dovere. Lo Bue ha aggiunto che di certo non avevo dimenticato la data della sua morte, perché si era suicidato proprio il giorno del mio incidente, il 15 marzo 1975.
A questo punto ho deciso che era giunto il momento di svelare il frammento di verità rimasto in ombra, il particolare omesso, in apparenza non correlato al delitto, che forse poteva salvare Antiveduto.
Quel fatale giorno, ho riferito a Lo Bue, mentre stavo ricollocando negli scaffali alcuni volumi, una collega era entrata di corsa nel deposito gridando che Marione si era suicidato: il poveretto non aveva resistito alla vergogna e si era impiccato ad un albero del suo orto. Io mi trovavo su uno scaleo e, udendo la tragica notizia, quasi svenni, precipitando da tre metri di altezza. Così, all’età di ventiquattro anni, sono finita in carrozzella. La mia reazione, un mancamento improvviso, era dovuta al fatto che sapevo con certezza che Grandi era morto innocente: conoscevo infatti l’identità del vero autore dei furti. Per settimane lo avevo osservato agire, senza parlare e, solo quando il custode era stato licenziato, mi ero fatta avanti tentando inutilmente di convincere il colpevole a confessare e salvare così dalla rovina quel povero padre di famiglia. Ma ora che Marione si era ucciso non c’era più modo per rimediare. Ovviamente il ladro che proteggevo perché stupidamente invaghita di lui era suo fratello Girolamo, all’epoca un oscuro borsista dell’Istituto con pochi mezzi e grandi progetti.
Mi aveva detto che il denaro ricavato dalla vendita delle miniature trafugate gli serviva per avviare uno Studio Bibliografico: promise che in seguito, con i primi guadagni, avrebbe provveduto a risarcire generosamente il Grandi ed io, stupidamente, non lo denunciai.
Pur di avere la possibilità di collezionare e commerciare libri antichi Girolamo era disposto a tutto, anche a rovinare un innocente e trascinare nel baratro della colpa un’ingenua ragazza innamorata.
Lo Bue mi ha rivelato di avere già condotto accurate indagini sul furto delle miniature, sul mio incidente e sul Grandi ma, naturalmente, ignorava il ruolo di Girolamo nella vicenda. Dopo la morte del povero Marione, il figlio e la moglie erano emigrati in Brasile e questo particolare diveniva rilevante in rapporto al paese di provenienza delle lettere anonime che gli avevo consegnato. L’incendio, secondo il commissario, poteva essere in qualche modo collegato al suicidio del custode e questa nuova pista meritava un accurato esame.
L’intuizione di Lo Bue fortunatamente si è rivelata giusta: controllando gli arrivi dal Sud America, il commissario ha scoperto che, proprio qualche giorno prima dell’incendio, Giovanni Grandi, il figlio di Marione, era sbarcato a Fiumicino, trattenendosi una settimana in visita presso parenti; quindi, il giorno seguente alla morte di Lefteria, se n’era tornato in Brasile, paese con cui l’Italia notoriamente non ha accordi di estradizione.
Secondo Lo Bue, il giovane Grandi conosceva l’identità del vero autore del furto e per anni ha perseguitato Girolamo con lettere anonime sperando di indurlo a confessare spontaneamente la sua colpa. Alla fine, stanco di aspettare, ha deciso di vendicare la morte del padre facendosi giustizia da solo: intendeva uccidere Girolamo e distruggere la sua biblioteca, ma ha mancato ambedue i bersagli, causando invece il decesso dell’innocente Lefteria.
Al dott. Magistris la nuova ricostruzione del delitto proposta dal commissario è parsa del tutto convincente, tanto che ha ordinato l’immediata scarcerazione di Antiveduto.
Attendo a momenti che il suo giovane cugino, accompagnato da Lo Bue, suoni al campanello della mia porta. Sono impaziente di abbracciarlo e, con l’aiuto di Pepos, ho organizzato per questa sera una cena in famiglia per festeggiare, tutti insieme, la sua riconquistata libertà. Ovviamente anche lei, caro Galba, è invitato. Non manchi!
Adelia

Da: galba.demause@unino.it
A: adelia.edelwaiz@libero.it

Carissima Adelia, la liberazione di Antiveduto mi rallegra infinitamente, ma non le nascondo di essere sconvolto dalle sue rivelazioni sul furto delle miniature.
Conosco bene i difetti di mio fratello, tuttavia l’ho sempre scusato perché, avendo qualche anno più di me, di certo ha maggiormente sofferto per la vicenda che ha sconvolto la nostra famiglia. Sono convinto che la misoginia di Girolamo abbia avuto origine dal comportamento riprovevole di nostra madre, fuggita all’estero con un aristocratico russo quando eravamo bambini, e credo che il suo morboso attaccamento ai libri compensi l’esperienza dell’abbandono e le carenze affettive patite in collegio. E sorvolo sul ricovero di nostro padre, sconvolto dallo scandalo domestico, in una clinica svizzera!
Girolamo è un uomo che ha sofferto, ma il male che tutti, più o meno, riceviamo non ci autorizza ad essere malvagi. Come credente io ho affrontato le dolorose prove della mia vita con rassegnazione, Girolamo invece ha reagito all’infelicità da materialista, divenendo più egoista e cattivo delle persone che hanno amareggiato la nostra infanzia.
Ha rovinato l’esistenza di tanti innocenti eppure, da un punto di vista legale, non può essere punito: è una palese ingiustizia, ma purtroppo viviamo in un mondo assurdo e pieno di contraddizioni, recriminare non serve a nulla ed è già un miracolo che il povero Antiveduto sia sfuggito ad un’immeritata condanna. Rallegriamoci dunque per questo e dimentichiamo il passato. Stasera, cara Adelia, verrò alla festa con un vassoio di paste extra large e, se me lo permetterete, leggerò un piccolo discorso in onore del festeggiato che ha superato, con coraggio e dignità, il momento più difficile della sua vita. A stasera. Galba.

Da: adelia.edelwaiz@libero.it
A: girolamo.demause@libero.it

Egregio dr. De Mause, la informo che è arrivata una nuova lettera dal Brasile: questa volta il misterioso corrispondente si firma per esteso e sono certa che il suo nome, Giovanni Grandi fu Mario, non le suonerà sconosciuto.
Ovviamente ho già provveduto a consegnare la lettera al commissario Lo Bue, ritengo tuttavia opportuno che anche lei conosca il contenuto della missiva.
Il Grandi confessa di essere l’incendiario di Villa De Mause ed afferma di avere appiccato il fuoco mosso da odio nei suoi confronti. Aggiunge che il padre, prima di suicidarsi, aveva scritto ai familiari un biglietto d’addio in cui l’accusava di essere il vero colpevole del furto delle miniature: ammette quindi di avere sempre aspirato a vendicarsi. Visto che le lettere non la inducevano a redimersi con le buone, ha in fine deciso di infliggerle una severa punizione. Purtroppo, scrive il giovanotto, il piano è fallito, causando la morte di una vecchia signora che nulla aveva a che fare con tutta la triste vicenda.
Ovviamente la persona che aveva rivelato al custode il nome del ladro di miniature ero io: il povero Grandi mi aveva promesso che sarebbe rimasto un segreto tra noi e, finché fu in vita, rispettò scrupolosamente il patto. Del biglietto alla famiglia non sapevo nulla, ma le lettere dal Brasile mi facevano pensare che la verità fosse in qualche modo venuta a galla.
Per mantenere la famiglia, in attesa di un nuovo impiego, avevo dato a Marione tutti i miei risparmi e con quella piccola somma la vedova ed il figlio, all’epoca ancora un bambino, erano emigrati in Brasile. Tuttora vivono a San Paolo: gestiscono un piccolo ristorante molto apprezzato, afferma il Grandi, dai connazionali in vacanza.
La lettera ha reso felice Lo Bue perché la confessione scritta pare sia considerata dagli investigatori la “regina delle prove”. Ora può chiudere per sempre il fascicolo “Tolos” certo di non aver mandato in galera un innocente. E questo, a suo avviso, è più importante che acciuffare un colpevole.
Antiveduto abita con me e Pepos: per il momento preferisce vivere in “famiglia” perché di notte è ancora perseguitato da terribili incubi. La carcerazione è stata un’esperienza terribile, ma ha prodotto su di lui anche qualche effetto positivo: è diventato un fervente democratico ed ha già avviato la pratica legale per mutare il suo cognome in Demause; inoltre sembra molto più maturo di un tempo e parla senza reticenza delle sue recenti disavventure.
Proprio oggi, a tavola, notava che, nel caso di Lefteria, la giustizia non ha fatto il proprio corso perché il reo-confesso vive libero in Brasile mentre dovrebbe occupare una cella in Italia. Ma Pepos ha obiettato che il figlio del custode, costretto a crescere in un paese straniero e senza padre, in certo senso, aveva già scontato preventivamente la sua pena. Ho riflettuto a lungo sulla conversazione tra i miei due ospiti e sono giunta alla conclusione che l’omicidio commesso da Giovanni Grandi, il suicidio di Marione, la mia paralisi, la morte di Lefteria, la detenzione di Antiveduto sono tutti anelli di una lunga catena di disgrazie che ha avuto origine da un unico evento: il furto delle miniature. Dunque il vero colpevole è chi, trentacinque anni fa, impadronendosi di quei miserabili foglietti colorati ha messo in moto la macina del male.
Il delitto che ha prodotto tante conseguenze nefaste rimarrà tuttavia senza castigo: Girolamo De Mause è un ladro, ma non sarà processato perché il furto ai danni dell’istituto di Studi Medievali è ormai caduto in prescrizione, Girolamo De Mause è un omicida però nessun tribunale potrebbe legalmente condannarlo per il suicidio del povero Grandi, anche se io so che ha fatto scivolare nell’armadietto di Marione, attraverso le fessure di aerazione, un frammento di miniatura perché la colpa ricadesse su di lui.
La sua impunità, dottor De Mause, è dunque la vera ingiustizia di questa triste vicenda in cui altri, innocenti, hanno sofferto e pagato al suo posto. E l’elenco sarebbe lungo.
Certo i parenti d’ora in poi la eviteranno, presto dovrà lasciare la villa in cui ha abitato per quasi tutta la vita ed otterrà solo una minima parte dell’eredità del conte Tommaso, ma potrà continuare a sfogliare comodamente i suoi amati libri, camminerà libero per le strade del mondo e, sono sicura, vivrà ancora a lungo, senza provare alcun rimorso.
A proposito, dimenticavo di dirle che da molto tempo non l’amo più.
Adelia

Da: girolamo.demause@libero.it
A: adelia.edelwaiz@libero.it

Signorina Edelwaiz, lei è licenziata!

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Rosanna Bogo

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Delitto senza castigo – VIII

scaffalecuboottava


Da: carmine.lobue@ministerodegliinterni.it
A: adelia.edelwaiz@libero.it

Gentile sig.na Edelwaiz,
mezzanotte è passata da un pezzo e le invio questa e-mail perché non mi pare il caso di spaventarla facendo squillare il telefono nel cuore della notte. Domani mattina però, appena alzata, potrà leggerà nella sua posta elettronica una buona notizia che la riguarda: un’ora fa Opak Pepos si è presentato in commissariato ed ha rilasciato una dichiarazione che conferma in pieno il suo alibi.
L’Opak infatti ricorda con sicurezza che la sera dell’incendio ha giocato a briscola con lei dalle nove a mezzanotte, vincendo complessivamente 12 euro e 50 centesimi. Inoltre, nel corso della serata, ha effettuato alcune telefonate in Albania che provano la sua presenza in casa Edelwaiz all’ora del delitto. Tra l’altro ha chiamato una stazione di polizia di quel paese, pare per chiedere ad un agente suo amico di inviargli i documenti necessari per ottenere un permesso di soggiorno turistico.
Dopo la morte di Lefteria, spaventato dalle indagini, il giovanotto si è prudentemente smarcato, ma poi ha deciso di tornare perché, cito dalle sue dichiarazioni a verbale, “solo un cane può fare questo a signorina Adelia”. E pare che dalle sue parti il cane sia considerato un animale particolarmente ignobile.
In fondo deve essere un bravo ragazzo, anche se ha qualche piccolo precedente. Ma alla sua età, lontano da casa, è facile farsi trascinare dalle cattive compagnie. Bisogna avere un po’ di pazienza! Comunque, cara signorina, non intendo trattenerlo in Questura: si affretti quindi a mettere un coperto in più a tavola!
P. S. Anche la questione della spilla è chiarita: il dr. Girolamo De Mause ha confermato di aver fatto credere alla vittima che il gioiello era un dono di suo fratello Galba. Per essere più convincente aveva persino unito al pacchetto un vecchio biglietto d’auguri con la firma del professore che, a tavola, ha mostrato a tutti i presenti, lei compresa. La G non stava dunque per Girolamo ma per Galba e questo, per quanto mi riguarda, fa del tutto cadere il movente della gelosia a suo carico. Ci tengo però a farle sapere che, in verità, non l’ho mai davvero sospettata: dopo tanti anni di onorata carriera so riconoscere a naso una persona onesta! Dr. Carmine Lo Bue

Da: adelia.edelwaiz@libero.it
A: carmine.lobue@ministerodegliinterni.it

Caro dottor Lo Bue, lei mi rende veramente felice. La ringrazio per i complimenti, tuttavia non posso fare a meno di ricordarle che anche il professor Galba ed il giovane De Mause sono sospettati in base ad indizi che non tengono conto della loro provata onestà. Mi creda, conosco Antiveduto da quando aveva sei anni e so che è incapace di fare del male. Quanto al Professore è un uomo profondamente devoto che considera il denaro lo sterco del diavolo, figuriamoci se potrebbe uccidere per un’eredità! La prego, cerchi qualche nuova pista, far condannare un innocente non è forse peggio che lasciare libero un presunto colpevole? Adelia Edelwaiz

Da: carmine.lobue@ministerodegliinterni.it
A: adelia.edelwaiz@libero.it

Cara Signorina, il suo affetto per la famiglia De Mause è lodevole, ma la giustizia deve fare il suo corso e solo nei tribunali americani vale il principio del ragionevole dubbio.
Lei mi ha ripetuto in varie occasioni che il minore dei fratelli De Mause è l’uomo più gentile, devoto ed innocuo del mondo, odia la violenza ed è persino vegetariano, mi permetta però di farle notare che spesso i responsabili di reati di sangue più gravi sono proprio persone pacifiche che, in situazioni particolari, esplodono come vulcani inattivi da  secoli. E poi gli assassini non sono tenuti a mangiare le loro vittime.
A carico del Professore comunque non sussistono veri sospetti, però il suo alibi è debole perché la notte dell’incendio si trovava in casa da solo.
Diversa è la situazione di Antiveduto De Mause, il principale indiziato nell’inchiesta, già in stato di detenzione. Le sue dichiarazioni riguardo alla notte del delitto sono state smentite da vari testimoni, inoltre, dopo l’incendio, è sparito di circolazione per una settimana, nascondendosi come un colpevole, infine ha indubbiamente bisogno di denaro perché conduce un genere di vita dispendioso ed il matrimonio della vittima lo avrebbe ridotto quasi in miseria. Ho motivo di ritenere che, entro pochi giorni, il dottor Magistris lo rinvierà a giudizio per l’omicidio di Lefteria Tolos e, visti gli indizi e la mancanza di un alibi, temo sarà condannato.
Le informazioni che le riferisco sono ovviamente riservate, ma ho la sensazione che potrebbero finalmente convincerla a rivelarmi quei frammenti di verità che ancora mancano al mio puzzle. Nonostante tutto il giovane De Mause mi piace e, in tutta la mia carriera, non mi è mai accaduto di trovare simpatico un assassino. Il tempo però sta per scadere: la prego, dica tutta la verità e forse, con il suo aiuto, potrò scagionarlo e trovare il vero colpevole. Lo Bue

Da: galba.demause@unino.it
A: adelia.edelwaiz@libero.it

Mia cara Adelia, sto ancora aspettando una risposta riguardo alla natura dei suoi rapporti con mio fratello. Ho cercato di ricavare qualche informazione da Girolamo, ma le mie domande lo hanno irritato a tal punto che ha preso baracca e burattini e se n’è andato.
Per le scale, mentre trascinava due valigie colme di libri, mi ha chiamato “Torquemada dei papiri”, ad alta voce, in modo che tutti i vicini sentissero, ed in strada l’ho sentito urlare che nel mio palazzo aveva sede la Santa Inquisizione. Chi sa cosa avranno pensato i passanti…
So che è rientrato con un taxi a Villa De Mause. Ubaldo e il Baluardi sono qui per portare via gli ultimi volumi della collezione rimasti nel mio appartamento e mi confermano che è deciso a rimanere nella villa, nonostante le stanze siano ancora annerite dal fumo e l’impianto elettrico non funzioni. Girolamo deve essere proprio impazzito.
Antiveduto mi ha scritto dal carcere: è disperato, povero ragazzo, bisogna assolutamente fare qualcosa per aiutarlo. Ma cosa?
Galba

Da: adelia.edelwaiz@libero.it
A: galba.demause@unino.it

Caro Professore, le posso garantire che non ho mai intrattenuto una relazione con suo fratello Girolamo: molti anni fa, lo ammetto, provavo un certo interesse per lui, ma i miei sentimenti non erano ricambiati. Siamo però legati da un segreto, una vicenda che credevo per sempre sepolta nel passato. All’epoca decidemmo che era meglio dimenticare, ma i recenti accadimenti mi hanno fatto cambiare parere.
Oggi ho consegnato al commissario Lo Bue le lettere anonime che, da qualche anno, arrivavano periodicamente allo Studio Bibliografico. Sono indirizzate personalmente al dottor Girolamo De Mause e provengono tutte dal Brasile: non contengono vere e proprie minacce, ma frasi tipo “Vergognati e sconta le tue colpe” oppure “Confessa e restituisci l’onore all’innocente”, a volte solo la parola “Pentiti”.  Suo fratello mi aveva ordinato di distruggerle, ma io le ho conservate quasi tutte e spero che mettano il commissario Lo Bue sulla pista giusta. E’ la sola cosa che, al momento, posso fare per aiutare il nostro Antiveduto. Adelia

Da: girolamo.demause@libero.it
A: adelia.edelwaiz@libero.it

Adelia, hai deciso di rovinarmi? Il commissario Lo Bue mi ha interrogato riguardo alle lettere minatorie che tu, contravvenendo ad un mio preciso ordine, hai conservato. Si sta avvicinando al nostro segreto e se scoprirà la faccenda dell’Istituto di Studi Medievali tutti e due passeremo dei guai. Questo non salverà Antiveduto e getterà altro fango sulla famiglia. Ricordati che non sei meno colpevole di me, anche se pensi che la tua invalidità sia una forma di espiazione. La legge però non ragiona con questa pseudologica tipicamente femminile e mette in galera la gente anche per molto meno, quindi nega, nega, nega sempre se mi ami ancora.
Girolamo

La prossima settimana l’ultima puntata
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Rosanna Bogo

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Delitto senza castigo – VII

scaffalecubosettima

Da: antiveduto.demause@libero.it
A: galba.demause@unino.it

Caro cugino, ti scrivo da dietro le sbarre del carcere mandamentale grazie alla complicità di un compagno di sventura che lavora nel “Call Center” della prigione.
La mia ex fidanzata, per vendicarsi dell’abbandono subito, nega la lite ed afferma che la notte dell’omicidio ha preso un potente sonnifero alle dieci di sera e quindi non può dire dove fossi alle undici, ora in cui è stato appiccato l’incendio. Anche i vicini sostengono di non avere sentito rumori o grida: detestano il mio vivace menage e, a loro avviso, meriterei di stare in galera a vita prescindendo dal delitto.
Con un movente convincente come l’interesse economico e senza uno straccio d’alibi, per il sostituto procuratore dottor Magistris è stato un gioco da ragazzi spiccare mandato di cattura nei miei confronti. Così ora mi trovo in cella, innocente!
P.S. Mandami al più presto qualche cambio di biancheria, scatolette di tonno e carne, biscotti e cioccolato. Ho già avuto un colloquio con Vitale. L’avvocato sostiene che non si può condannare un uomo accusato di omicidio sulla base di qualche indizio e di un presunto movente: evidentemente, nonostante frequenti da tanti anni le aule dei tribunali, è rimasto un inguaribile ottimista o, quantomeno, un pessimista poco informato.
Non tentare di contattarmi, mi farò vivo io tramite Vitale.
Tuo Antiveduto

Da: girolamo.demause@libero.it
A: adelia.edelwaiz@libero.it

Cara Adelia, anch’io sono convinto che Antiveduto sia innocente, ma la sua posizione è compromessa. Lo Bue ormai lo ha incastrato: può dimostrare che aveva il mezzo, l’occasione e il motivo per incendiare la villa. Per il momento dispone solo di indizi, ma un “impianto accusatorio”, in certi casi, regge anche senza prove, soprattutto in mancanza di un alibi e di colpevoli alternativi.
Bisogna comunque ammettere che l’interesse è una molla determinante per le azioni umane, oltre che un movente più che convincente in sede di giudizio. Al riguardo il testamento dello zio Tommaso parlava chiaro: il matrimonio di Lefteria avrebbe diseredato Antiveduto.
Non dimentichi poi, cara Adelia, che anche noi abbiamo sofferto. La polizia ha razzolato nelle nostre vicende private con intollerabile indiscrezione, siamo stati interrogati per ore, la nostra vita è stata sconvolta dal sospetto e questo tormento avrà fine solo quando il responsabile del delitto verrà rinviato a giudizio. Sia chi sia.
Consideri però che l’eventuale condanna di Antiveduto potrebbe comportare la sua esclusione dalla successione per indegnità: in questo caso io e Galba entreremmo in possesso di tutto il patrimonio dello zio Tommaso e può essere certa che ne faremmo buon uso.
Immagini Villa De Mause tornata all’antico splendore, la mia collezione di libri antichi reintegrata, lo Studio Bibliografico ingrandito, magari con qualche nuovo dipendente, e Galba presidente di quella Fondazione di Studi Paleografici De Mause che ha sempre sognato di creare.
Ovviamente continueremmo a prenderci cura di Antiveduto: con il denaro si può rendere sopportabile anche la vita in carcere. Per lui sarà come soggiornare in un collegio molto severo, sul tipo di quello in Carinzia dove io e Galba abbiamo trascorso gran parte della nostra infanzia. Non è stata una passeggiata ma, come vede, siamo sopravvissuti!
A questo punto, mia cara Adelia, anch’io comincio a pensare che non tutto il male venga per nuocere.
Girolamo De Mause

Da: galba.demause@unino.it
A: adelia.edelwaiz@libero.it

Cara Adelia, mio fratello mi spaventa: da quando si è trasferito nel mio appartamento parla a vanvera; dopo l’arresto di Antiveduto, sembra quasi sollevato all’idea che il nostro parente più stretto sia condannato per omicidio.
Comincio a pensare che Girolamo potrebbe aver architettato un piano diabolico per eliminare contemporaneamente l’aspirante moglie ed il principale coerede. Perché quella sera Lefteria aveva bevuto più del solito? perché Ubaldo, uomo robusto ed intrepido, non si è arrampicato fino alla finestra della stanza per svegliare la dormiente? perché i pompieri sono arrivati con tanto ritardo? L’avidità potrebbe aver fatto passare in secondo piano il morboso amore per i libri di mio fratello…
Questi sospetti non mi fanno dormire e poi anche la storia della relazione sentimentale tra lei, cara Adelia, e Girolamo mi pare incredibile! Lui nega, ma il commissario Lo Bue sembra disporre di informazioni di prima mano. Probabilmente ha svolto indagini tra i dipendenti dell’Istituto di Studi Medievali.
Di certo è al corrente di quando e dove vi siete conosciuti ed ha cercato di ricavare qualche informazione anche da me. Io però ho sempre accuratamente evitato di occuparmi della vita privata di Girolamo: per quanto mi risulta trentacinque anni fa mio fratello era un giovane studioso e frequentava l’Istituto in cui lei lavorava come aiutante bibliotecaria. Quando, a seguito di una caduta, lei rimase paralizzata, Girolamo l’assunse come segretaria del suo Studio Bibliografico e dama di compagnia dello zio Tommaso, all’epoca, già in pensione: altro non so; tuttavia, considerato l’egoismo e l’insensibilità di mio fratello, questa storia non mi ha mai del tutto convinto e non mi stupisce che un estraneo, ignaro della guerra dichiarata da Girolamo al bel sesso, possa pensare ad un retroscena sentimentale. L’amore spiegherebbe tante cose, però Girolamo nelle vesti di Romeo non è proprio credibile! Ma visto che ora il coperchio del vaso di Pandora è stato sollevato, mi piacerebbe sapere la verità sui vostri rapporti. Attendo di ricevere i chiarimenti di cui lei mi riterrà meritevole e può essere certa che sarò, come sempre, custode geloso dei segreti altrui. Suo affezionato Galba

Continua…

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Rosanna Bogo

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Delitto senza castigo – VI

scaffalecubosesta

Da: antiveduto.demause@libero.it
A: galba.demause@unino.it

Caro Galba, questa volta sono davvero nei guai. Il commissario Lo Bue mi ha torchiato per ore: non crede alla mia versione dei fatti e ritiene che mi sia nascosto a Trequanda in attesa che la morte della zia venisse archiviata come incidente. Il notaio Grana ha strombazzato ai quattro venti la clausola contenuta nel testamento del nonno e quindi gli investigatori sospettano che io abbia incendiato Villa De Mause per impedire il matrimonio tra Lefteria e Girolamo ed ereditare così l’intero patrimonio di famiglia. Magari poi avrei trovato un modo per eliminare anche te. Sono cose da pazzi!
La verità è che, la sera dell’incendio, mi trovavo a casa in compagnia della mia fidanzata. Poco prima di mezzanotte, mentre guardavamo un film, tra noi è scoppiata all’improvviso una furiosa lite per un motivo che neppure ricordo, qualcosa riferito ai meriti di un’attrice, mi pare. In breve alle parole sono seguiti i fatti: la mia dolce metà ha iniziato un intenso lancio di soprammobili e, con mira micidiale, mi ha costretto a lasciare precipitosamente l’appartamento: fuggendo ho afferrato la giacca con i documenti e le chiavi della macchina, ma non ho avuto il tempo di prendere telefonino e computer.
Nel buio della notte ho guidato per ore lungo i viali della circonvallazione: non riuscivo a decidere se tornare a casa, andare in albergo o rifugiarmi fuori città. Per la prima volta in vita mia non mi sentivo un brillante giovanotto in cerca di nuove avventure, ma un uomo prigioniero di un’esistenza inutile, un collezionista di fallimenti sentimentali.
All’improvviso ho avvertito il bisogno di ritirarmi in un luogo isolato, per meditare senza distrazioni sul mio futuro. Troppa importanza avevo dato fino ad allora al piacere, alle allegre compagnie ed all’attimo presente: comprendevo che solo chiudendomi in me stesso e ripensando alla mia vita passata, avrei superato la drammatica crisi esistenziale in cui ero caduto.
Il capanno di Tirli, in stagione di caccia, non è il posto più tranquillo del mondo, così mi è venuta l’idea di rifugiarmi nel “buen retiro” di mio padre a Trequanda. Erano anni che non pensavo più alle mie vacanze in compagnia dei “figli dei fiori” ma, in un angolino del mio cuore, evidentemente si nascondeva una segreta nostalgia per quel luogo così legato alla mia infanzia.
La chiave della casa era in consegna all’affittuario dei terreni, un vecchio contadino che mi ha subito riconosciuto: si ricordava ancora che da bambino giocavo nell’aia con i suoi figli, oggi maturi padri di famiglia. Abita in un podere poco distante dal casale e sua moglie mi ha portato tutti i giorni uno spuntino casereccio ed una bordolese di ottimo vino locale: devo riconoscere che l’anziana coppia si è dimostrata veramente premurosa nei miei confronti ed è consolante, mio caro Galba, scoprire che la gentilezza non è ancora del tutto scomparsa da questo mondo!
Devo ammettere che rifugiarmi in quel vecchio rudere è stata un’ottima idea. La solitudine, la bellezza della natura, la vicinanza discreta di gente semplice, il silenzio, mi hanno rigenerato ed ora mi sento una persona diversa: è come se questa esperienza mi avesse guarito da una lunga malattia.
Forse la mia confusa idea dell’amore era nata proprio lì, a contatto con i giovani irrequieti e senza regole della Comune di mio padre, ed il destino voleva che in quello stesso luogo avvenisse la mia “conversione”.
Ora mi sento in grado di perdonare non solo il mio povero genitore, ma anche la sciagurata madre che mi ha abbandonato. Per tanti anni l’ho ingenuamente ritenuta vittima incolpevole della congenita stravaganza dei De Mause e, ora che conosco la verità, provo un grande sollievo. Come hai giustamente scritto, crescendo senza di lei non ho perso nulla.
Dopo quanto ti ho riferito sul mio stato d’animo, comprenderai che mantenermi in contatto con il mondo esterno era, nei passati giorni, l’ultima delle mie preoccupazioni: giuro che ignoravo la terribile disgrazia accaduta a Villa De Mause ed ovviamente non sapevo neppure di essere ricercato. Sono certo che almeno voi, cari cugini, mi crederete, Lo Bue invece sospetta che abbia progettato chi sa quale piano diabolico, nascondendomi poi negli anfratti delle Crete in attesa che le acque si calmassero. Per riflettere, mi ha detto, non occorre andare in un eremo così scomodo e lontano, basta prendere una camera in un albergo fuori mano ed appendere alla porta il cartellino “non disturbare”. Solo un latitante, a suo avviso, si rende irreperibile.
L’avvocato Vitale mi ha informato che, in forza del principio cui prodest?, al momento sono il principale indiziato nell’inchiesta: l’interesse economico pare sia un movente molto apprezzato dagli investigatori. Voi però sapete che ho sempre considerato i beni di famiglia tanto miei quanto vostri o, se fosse viva, della povera zia Lefteria.
Io un assassino! E pensare che la notte dell’omicidio ho rischiato di morire, colpito dai soprammobili lanciati dalla mia ex. Evidentemente non sono in grado di stabilire un rapporto normale con l’altro sesso: magari, senza saperlo, sono affetto da misoginia acuta come Girolamo e destinato a rimanere solo: vae soli!

Tuo Antiveduto

Da: galba.demause@unino.it
A: antiveduto.demause@libero.it

Caro Antiveduto, come diceva Dostojevski nessuno è innocente ma non posso, neppure per ipotesi, pensare che tu sia un assassino. E’ inconcepibile!
Se ti può consolare, l’avvocato Vitale si è premurato di rendere noto alle autorità di polizia il mio rifiuto di impalmare Lefteria e così anch’io ora appartengo al club dei sospettati: secondo Lo Bue detestavo la vittima e temevo che Girolamo mi costringesse a sposarla, quindi ho progettato di eliminare entrambi, magari con la tua complicità. Poi, immagino, ci saremmo divisi il bottino ballando sulla tomba dei nostri congiunti!
Il commissario deve avere l’acutezza visiva di una talpa per non accorgersi che tu sei un giovane generoso e disinteressato, incapace di fare male ad una mosca, mentre io… io sono solo un innocuo vecchio studioso che tutte le sere dice il rosario davanti alla foto della sua defunta moglie. Assassini noi? Ma figuriamoci!
Del resto Lo Bue sospetta persino dell’ottima Adelia: un’invalida in carrozzina incendiaria! Secondo la sua fantasiosa “ricostruzione” Adelia, da anni amante di Girolamo, avrebbe ucciso Lefteria per gelosia. L’impulso omicida si sarebbe scatenato quando mio fratello le ha ordinato di far incidere su un spilla le iniziali G ed L in un cuore, rivelando così di avere intenzione di impalmare quanto prima la sua ospite.
Ma io so bene che Girolamo non ha mai, neppure per un attimo, pensato di sposare nostra cugina e, riguardo al legame con Adelia, fatico ad immaginare il mio bisbetico fratello interessato a qualcosa privo di frontespizio: non escludo però che in gioventù i loro rapporti fossero più stretti, magari passionali, ma si tratta comunque di cose accadute in un passato remoto.
E poi non credo che la signorina Edelwaiz sia donna incline a compiere un gesto melodrammatico come uccidere per gelosia: alla sua età e per amore di Girolamo…Ma scherziamo?!
Pepos potrebbe confermare l’alibi di Adelia, pare abbiano trascorso insieme la sera dell’incendio giocando a carte ma, attualmente, il giovanotto è introvabile. Lo Bue non esclude che possa essere l’esecutore materiale del delitto progettato dalla sua benefattrice in carrozzina. Devo riconoscere che il nostro Maigret ha davvero una fervida immaginazione.
L’unico escluso dalla lista dei supposti colpevoli stilata dal commissario è Girolamo in quanto si è prodigato per salvare Lefteria, come testimoniano Ubaldo ed i pompieri, ma anche, aggiungerei, perché nell’incendio, ha rischiato di perdere la sua adorata biblioteca. Non occorre essere Sherlock Holmes per comprendere che un bibliofilo fanatico come mio fratello non utilizzerebbe mai il fuoco per commettere un omicidio in casa propria: ricorrerebbe ad altri metodi “accidentali” non pericolosi per i suoi amati libri, ad esempio farebbe precipitare la vittima per le scale oppure l’affogherebbe nella vasca o, considerato il carattere di Girolamo, le propinerebbe lentamente un veleno non rintracciabile per avere il piacere di vederla morire poco a poco.
Dunque, mio caro Antiveduto, consolati, non sei il solo innocente ingiustamente sospettato! Speriamo che la verità venga presto alla luce e la polizia trovi l’assassino, perché altrimenti temo che Lo Bue, per chiudere in tempi rapidi l’inchiesta, sceglierà il colpevole tra uno di noi due giocando a testa o croce.

Il tuo affezionato cugino e “complice” Galba.

Continua…

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Rosanna Bogo

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Delitto senza castigo – V

scaffalecuboquinta


Da: antiveduto.demause@libero.it
A: galba.demause@unino.it

Caro Galba, dopo aver trascorso una settimana di eremitaggio nel casale paterno di Trequanda, sono rientrato da qualche minuto nel mio appartamento e, solo ora, leggo nella posta elettronica il messaggio di Adelia che mi comunica la tragica morte di Lefteria. Che terribile notizia! Sai che mi è sempre mancata una figura materna e cominciavo davvero ad affezionarmi alla mia bizzarra zietta. E’ un vero miracolo che Girolamo e Ubaldo siano incolumi. Per i beni materiali perduti non c’è motivo di dispiacersi troppo, si possono sempre riparare o sostituire, solo la vita è davvero unica. Comunque un incidente del genere prima o poi doveva accadere: l’impianto elettrico della Villa era fatiscente ed anche un piccolo cortocircuito, con tutta la carta ammassata da Girolamo, era in grado di innescare un incendio. Ma chi poteva prevedere un esito così funesto!?
Ormai mezzanotte è passata da un pezzo, vado a dormire e, domani mattina, verrò a salutarvi di persona; poi mi recherò in Questura per spiegare al commissario che segue le indagini il motivo della mia lunga assenza. Adelia scrive che mi avete cercato nel capanno di Tirli ma, come ti ho detto, ho trascorso la passata settimana nel casale che mio padre aveva acquistato nei primi anni Settanta non lontano da Siena. Era la sede della sua “comune”, una specie di “casa famiglia” ante litteram che ospitava una colonia di svitati “figli dei fiori”.
Penso che ormai sarete al corrente del traumatico fallimento della mia ultima relazione sentimentale: quando sono partito ero depresso e desideravo stare solo, per questo non mi sono fatto vivo per così tanto tempo.  Nella casa di Trequanda, del resto, mancano corrente elettrica, telefono e televisione, è quasi un rudere ma, a dire il vero, anche ai bei tempi non aveva un aspetto migliore. Da bambino trascorrevo là le vacanze estive con il babbo e i suoi strani amici, era un vero spasso! Vivevamo come selvaggi, viaggiavamo su uno scassato maggiolone verde dipinto a margherite con la scritta “make love not war” e tutto il giorno cantavamo e ridevamo; i grandi naturalmente faceva anche altro, tipo amoreggiare e fumare spinelli; mi ricordo ancora che il mio gioco preferito era inseguire galline e lucertole. Che bei tempi!
Ora però comprendo le ragioni che hanno determinato la separazione dei miei genitori: una razionale donna del Nord dedita alla Scienza come la mamma non poteva sopportare a lungo l’anticonformismo esagerato del babbo, per questo è tornata nella natia Islanda, affidandomi alle cure del nonno Tommaso.
Penso che la storia della mia infanzia sarebbe davvero un bel soggetto per un romanzo: la generazione perduta dei “contestatori”. Ci farò un pensierino.
Ma, bando ai ricordi! in questo momento mi preme innanzi tutto chiarire la questione della mia supposta scomparsa: so di poter contare sulla vostra comprensione, ma non mi piace  affatto l’idea di passare, agli occhi di un estraneo come il commissario, per un gigolo insensibile alle disgrazie di famiglia!
A domani. Antiveduto.

Da: galba.demause@unino.it
A: antiveduto.demause@libero.it

Ricevere la tua e-mail, caro Antiveduto, mi ha davvero rincuorato. Eravamo tutti preoccupati per questa lunga assenza e cominciavamo a temere il peggio, magari un gesto estremo compiuto dopo la rottura con la tua fidanzata. Qualche giorno fa la signorina in questione mi ha inviato per posta le chiavi del tuo appartamento, senza una riga di spiegazione, ma il gesto era in sé eloquente. Intelligenti pauca!
Ovviamente a nessuno di noi è venuto in mente di cercarti nel casale di Trequanda, forse perché è un posto che non abbiamo mai frequentato. Quello era un “feudo” esclusivo di tuo padre, lo zio Tommaso lo definiva la Gomorra dei De Mause.
Quanto alla povera Lefteria, ormai riposa in pace e poco importa se non hai potuto partecipato al suo funerale, quello che conta è il sincero cordoglio che mostri di provare.
Naturalmente mi dispiace che la tua relazione si sia conclusa in modo così traumatico, ma sono lieto che questo ennesimo fallimento ti abbia fatto aprire gli occhi: non è mai troppo tardi per rimettersi in carreggiata! Del resto il ritiro spirituale è una pratica salutare raccomandata anche dalla Chiesa: solo tacitando il rumore del Mondo possiamo ascoltare la flebile voce della nostra coscienza.
Meditare è una medicina per l’anima ma, rimuginare sulle vicende dolorose della nostra vita, non serve a nulla: il passato è passato, credimi, e considera che il tuo sfortunato padre ha già pagato il fio della sua vita sregolata morendo in giovane età.
Francamente anch’io lo trovavo un tipo un po’ troppo originale, però non è colpa sua o dei “figli dei fiori” se sei cresciuto senza mamma: ti posso assicurare che tua madre Fiona amava la trasgressività non meno di Tommy: Era una ragazza anticonformista e, tuttavia, molto  ambiziosa: si trovava in Italia per condurre una serie di esperimenti nel campo della biologia marina, ma contava di ottenere, prima o poi, un importante incarico in un istituto scientifico islandese. Sognava una brillante carriera e, rispetto ai suoi obiettivi professionali, tutto il resto passava in secondo piano: per questo rifiutò con decisione le nozze riparatrici cavallerescamente proposte da tuo padre e quando, finalmente, ottenne l’agognata nomina, tornò in patria senza pensarci due volte.
Ormai sei abbastanza cresciuto per sapere la verità: tua madre ti ha abbandonato perché non rientravi nei suoi programmi. All’epoca appena camminavi e certo non ricordi come  fosti “affidato” alle cure del nonno: Fiona ti lasciò nel passeggino davanti alla porta di Villa De Mause senza neppure suonare il campanello. Per fortuna, poco dopo, arrivò mia moglie: era agosto, avevi in mano un biberon quasi vuoto ed al parasole era attaccato con una molletta da panni un biglietto che recitava “Vi lascio il piccolo. E’ tutto vostro, bacioni”. Davvero un lodevole esempio di nordica praticità!
Diamante piangeva sempre quando, in tua assenza, si parlava tra parenti del triste episodio. Da allora Fiona non diede più notizie di sé né chiese mai informazioni sul figlio che aveva così disinvoltamente “scaricato”.
Tommy, poverino, non sopportava neppure di sentire pronunciare il suo nome e noi, per delicatezza, la chiamavamo tutti “quella donna”;  solo tuo nonno, abituato dalla vita di cantiere ad evitare gli eufemismi, la definiva icasticamente “la vacca islandese”.
Anch’io sono rimasto orfano in tenera età e so per esperienza cosa significa crescere senza madre ma, stai certo, nel tuo caso non hai perso nulla.
Il tuo affezionato cugino Galba.

Continua…

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Rosanna Bogo

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Delitto senza castigo – IV

scaffalecuboquarta

Qui la Terza Puntata

Da: girolamo.demause@libero.it
A: galba.demause@unino.it

Fratello mio carissimo Galba, ti scrivo con gli occhi colmi di lacrime dal mio letto di dolore nella clinica “Intedominesperamus” grazie ad una gentile suora infermiera che mi ha prestato il suo portatile. Ormai ti avranno informato che tutto è perduto: Villa De Mause, la mia collezione di libri antichi, la povera Lefteria sono stati divorati dal fuoco, io stesso ho le mani bruciate e sono vivo per miracolo. Ieri sera mi ero quasi addormentato leggendo il mio ultimo acquisto, il Trattato delle gemme che produce la natura di Lodovico Dolce, purtroppo non l’introvabile editio princeps del 1565 ma la ristampa aumentata del  1617, quando uno strano odore di bruciato mi ha fatto spalancare gli occhi. Sono uscito in corridoio e subito ho visto le fiamme: aiutato da Ubaldo ho tentato di spengere l’incendio usando l’estintore che tengo in biblioteca, ma con scarsi risultati. Allora abbiamo cominciato a gettare dalla finestra i libri più preziosi: non puoi immaginare lo strazio di dover scegliere tra una “cinquecentina” e un incunabolo, tra una prima edizione ed una tiratura limitata, decidere così, su due piedi, quale dei miei amati libri doveva bruciare e quale avrebbe invece continuato ad esistere, magari solo con qualche menda in più. Tra le aldine dovevo salvare Le terze rime di Dante del 1502 oppure Le Cose Volgari del Petrarca del 1586? Era meglio far perire nel fuoco come una braciola sul barbecue L’arte di cucinare di Bartolomeo Scappi, cuoco segreto di Pio V, edita nel 1598, oppure il De Humani Corporis Fabrica del Vesalio del 1568 con tutte le sue 171 preziose xilografie? Mentre ero alle prese con questi drammatici dilemmi, Ubaldo mi ha fatto notare che Lefteria non era scesa. Evidentemente, nonostante quel finimondo, continuava a dormire come un ghiro nella sua stanza al terzo piano: a cena aveva alzato un po’ il gomito e, prima di andare a letto, si toglieva d’abitudine l’apparecchio acustico. Sai bene che noi De Mause siamo tutti un po’ deboli d’udito.
Sono quindi corso verso la sua camera. La porta era chiusa con il paletto: ho gridato e battuto i pugni, ma inutilmente. E’ risaputo che lo zio Tommaso ha costruito la Villa senza badare a spese ed un infisso in massello di castagno, ti assicuro, non è facile da scardinare. Intanto l’incendio si stava diffondendo, il fumo aveva ormai invaso tutti i piani della casa ed ancora non si sentiva la sirena dell’autobotte dei pompieri. Sono sceso per chiedere aiuto ad Ubaldo, le fiamme però erano ovunque, un vero muro di fuoco.
Così, in preda al panico, ho scavalcato la finestra della biblioteca stringendo al petto quanto di più adatto alla situazione ero riuscito a trovare in quel caos: il Diamerone di Valerio Marcellino “ove con vive ragioni si mostra la morte non essere quel male che’l senso si persuade”, edito per la prima e ultima volta nel 1564. Certo avrei fatto meglio  a salvare il De remediis utriusque Fortunae con legatura originale del 1492 che tenevo sul comodino, ma ormai quel che è fatto e fatto. Comunque, dopo un volo di alcuni metri, invece di sfracellarmi al suolo sono atterrato su una morbida montagna di carta, i volumi e gli opuscoli che io ed Ubaldo avevamo gettato fuori all’inizio dell’incendio, e per questo la caduta non ha prodotto grossi danni: pensavo di morire ed invece sono ancora tutto intero, non miracolato da Santa Rita, come diresti tu, ma salvato dai miei amati libri. Anche Ubaldo è riuscito a fuggire dalla villa quasi incolume, la nostra povera cugina invece è morta nel sonno, soffocata dal fumo. Le fiamme, per fortuna, hanno solo lambito il suo letto, così almeno mi ha riferito il pompiere che è entrato per primo nella stanza.
Che orribile fine! la gotterdammerung dei De Mause!
Addio amati scaffali di rovere, addio lucidi dorsi dorati, addio quinterni maculati dal foxing, addio legature coeve con fregi incisi, addio sentore leggero di muffa e pelle consunta, addio carteggio De Tipaldo, addio Lefteria: ora che il maglio del destino ha colpito la nostra famiglia, nulla potrà tornare ad essere come prima della sventura!
Adelia provvederà ad annullare per lutto la mia partecipazione alla fiera del libro antico e penserà anche ad organizzare degne esequie per la nostra povera cugina: voglio che sia sepolta nel nostro mausoleo con tutti gli onori ed ho già pensato all’epitaffio da incidere sulla sua lapide: “Qui giace Lefteria Tolos De Mause, troppo tardi e per troppo poco tempo riscaldata dal calore della sua famiglia”. Che ne pensi? Esigo un giudizio spassionato. Se ti piace potresti tradurlo in greco, moderno s’intende: spedire ai parenti della scomparsa un “santino” nella loro lingua non sarebbe una cattiva idea.
Lo zio voleva che la figlia si sentisse una di noi ed ora il suo desiderio si adempirà: la povera Lefteria riposerà per sempre accanto ai nostri cari, allo zio, al cugino Tommy, a Diamante e più familiarità di così non so immaginare. Poi, quando il destino vorrà, anche noi la raggiungeremo. Ma la vita, caro Galba, fino ad allora deve continuare.
Le mie ustioni non sono gravi e la degenza in clinica costa oltre settecento euro al giorno quindi, nel pomeriggio, sarò lieto di accettare la tua ospitalità, almeno fino a quando la Villa non tornerà agibile. Ho prenotato l’ambulanza per le diciassette, fatti trovare in casa. Mi accompagnerà Ubaldo, già dimesso in mattinata seppure un po’ malconcio: è un uomo robusto e non dubito che si rimetterà presto anche senza ulteriori dispendiose cure.
Con dolore, tuo fratello Girolamo

Da: galba.demause@unino.it
A:  adelia.edelwaiz@libero.it

Cara Adelia, la ringrazio di cuore per essersi occupata delle esequie di Lefteria e per avere cercato Antiveduto, ancora all’oscuro della disgrazia accaduta alla zia. Nessuno di noi ha idea di dove si trovi: l’appartamento sembra disabitato, il suo cellulare è spento ed a Tirli nessuno l’ha visto.
Girolamo si è stabilito in casa mia e sembra avere già metabolizzato la disgrazia.
E’ tornato del suo normale umore scorbutico e, come sempre, spadroneggia: ha requisito una stanza per  ospitare i libri scampati alle fiamme e trascorre le giornate nel “suo” deposito provvisorio inventariando i “sopravvissuti” che, a mio avviso, non sono affatto pochi come lui sostiene. Del resto i pezzi di maggior valore della sua collezione, i preziosi “Libri delle Sorti” di Lorenzo Spirito, Gismondo Fanti e  Francesco Marcolino, il sontuoso Vitruvio per la prima volta tradotto in volgare dal Cesariano con 117 xilografie e, soprattutto, il foglio sciolto della Bibbia delle 42 linee di Gutemberg che Girolamo considera una specie di figlio primogenito, erano conservati in una cassaforte murata in cantina e, durante l’incendio, non hanno riportato alcun danno.
Per quanto mi riguarda, le cose non vanno altrettanto bene: la convivenza di una coppia di solitari in un appartamento così piccolo è un’esperienza inevitabilmente spiacevole, soprattutto se uno dei due si chiama Girolamo De Mause, inoltre sono ancora sconvolto dalla morte di Lefteria. Mi sento quasi in colpa per avere rifiutato di sposare la povera donna: se quella sera si fosse trovata a casa mia sarebbe ancora viva. Ed il pensiero della prematura scomparsa del professor Negri non mi abbandona mai.

Da: adelia.edelwaiz@libero.it
A: galba.demause@unino.it

Caro Professore, comprendo la sua sofferenza ma, a questo punto, sono costretta a renderla partecipe delle mie preoccupazioni. Non posso più rimanere in silenzio e mi rivolgo a lei perché ho la sensazione che il dottor De Mause, al momento, non sia ancora del tutto tornato in sé.
Purtroppo la situazione, nelle ultime ore, è precipitata: la perizia tecnica ha infatti stabilito la natura dolosa dell’incendio e le Autorità sembrano ormai convinte che la morte di sua cugina non sia stata un tragico incidente, bensì un omicidio, forse addirittura premeditato.
Come è prassi in situazioni del genere, la Magistratura ha disposto l’esumazione della salma e la povera Lefteria, al più tardi domani, verrà sottoposta ad un’accurata autopsia
Il commissario che si occupa delle indagini, tale dottor Lo Bue, sospetta qualcosa e da giorni mi bersaglia di domande sui rapporti tra la defunta ed i membri della famiglia De Mause: ha intenzione di interrogare Ubaldo e sono sicura che presto anche lei e Girolamo sarete convocati in Questura. Di certo il commissario è un tipo sveglio e tenace, sarebbe un errore sottovalutarlo.
Pepos, dopo avermi accompagnata al funerale di Lefteria, si è eclissato, mentre  Antiveduto sembra svanito nel nulla già da prima della disgrazia. Speriamo che la loro assenza ingiustificata non venga scambiata dagli investigatori per un’implicita ammissione di colpa!
L’avvocato Vitale consiglia a tutti di mantenere la calma: “male non fare paura non avere” ripete di continuo, ma io non credo a questo proverbio ed ho sempre pensato che se la giustizia è una dea bendata non può che colpire a caso, senza fare distinzione tra rei ed innocenti.
Sua Adelia

Continua…

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Rosanna Bogo

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Scrivolo

i racconti del nano grafomane

http://www.scrivolo.it

Segnalibri Sant’Agostino

Segnalibri Agostino

Il 28 Agosto la Chiesa Cattolica festeggia Sant’Agostino. Un’occasione, per noi, per ricordare il grande lettore (e scrittore!), morto 1583 anni fa.

Da stampare fronte e retro e  ritagliare: [download id=”52″]

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Dr J. Iccapot