Fuori era caldo ma le finestre appena accostate e le porte delle stanze spalancate creavano una deliziosa corrente d’aria. Per evitare che le imposte di quel salotto, esposto a sud, battessero rumorosamente, era stato messo a contrasto, tra la battuta e il battente, un libro; il venticello gonfiava la rada tenda color sabbia, l’imposta si apriva sino ad arrestarsi contro il tessuto che si spostava appena un po’ poi il richiamo d’aria la faceva tornare indietro; si sarebbe chiusa rumorosamente se non fosse stato per quel libro.
Ancora e ancora, quel moto perpetuo sembrava essere l’unica cosa viva nella sonnolenza della stanza. Il continuo accanimento contro quelle pagine mi dava fastidio, quasi come un gesto fuor di creanza, ripetuto all’infinito davanti a me.
Mi alzai con pesantezza dal divano sperando che si trattasse di uno di quei libretti, da pochi centesimi, che giornali senza idee regalano a lettori senza idee: l’avrei lasciato lì, mi sarei messo l’animo in pace e sarei tornato a oziare in quella stanza luminosa ma non calda, scambiando rade parole con l’ospite che ero andato a visitare.
Invece riconobbi nel libro, verdolino, un Laterza. Lo presi in mano, spostandolo dal davanzale dove era stato messo con cura e non per la prima volta. L’imposta l’aveva ferito, ripetutamente, ma sempre nello stesso punto; lo sfogliai: la stilettata era penetrata per una ventina di pagine, nella parte anteriore; anche il dorso, però, risultava offeso.
Lo reggevo con una mano, l’altra a tenere l’imposta, ché non sbattesse.
“Ti interessa?” fece il mio ospite, che aveva seguito incuriosito quei miei movimenti. “Prendilo, deve essere qualcosa di uno dei miei figli, lasciato qui da tanti, tanti anni. Ormai non se ne farebbero più di nulla.” La voce si incrinò un po’, i vecchi non vogliono vivere da soli ma spesso devono.
“Aspetta, torno subito” rimisi il libro al suo posto e uscii dalla casa lasciando il portoncino d’ingresso aperto; il riscontro d’aria si fece più forte. Dal mio appartamento, lì, sullo stesso pianerottolo, presi un gancetto di plastica, uno di quei dispositivi che tenevo in casa perché facessero, ma senza strazio, lo stesso lavoro del libro, e rientrai dal mio ospite.
“Ecco, vedi, usa questo” e gli mostrai come utilizzare il gancetto: la finestra restava socchiusa ma bloccata: non c’era più neppure il rischio che una folata di vento più forte la facesse impigliare nella lunga tenda.
“Il libro…” lo allungai verso il mio ospite che era ancora seduto in poltrona.
“No, tienilo tu, io che me ne faccio… so che anche a te i libri piacciono.”
Quanto dolore e rimpianto c’erano in quell’«anche».

 

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fuchs