Terza parte.
Tra colleghi ci s’intende.
Il commissario Allegri, responsabile delle indagini sulla morte della signora Bertoni, non onorava il suo nome. Era un uomo anziano, triste… un po’ rattrappito: sembrava un travet in bolletta affetto da dispepsia. Entrò nel salotto di villa Bertoni con un incedere incerto e si presentò a Sapìa senza manifestare particolare cordialità.
“Buongiorno, Allegri – disse, tendendo la mano – suo fratello mi ha detto che è un collega.”
“Onorato, Italo Sapìa – rispose il commissario – sono in servizio a *.”
Stringendo la destra ossuta che gli veniva porta notò nello sguardo di Allegri una luce mansueta, insolita nel loro mestiere
“Bella città, la conosco bene… lì mi sono laureato in Legge, di sicuro qualche anno prima di lei!” disse Allegri.
“Non vorrei che lei fraintendesse il significato della mia presenza qui, commissario – aggiunse Sapìa – Orlando, mio fratello, ha solo me al mondo e, capirà, in una situazione del genere non potevo lasciarlo solo.”
Sapìa ci teneva a precisare che avrebbe evitato di ingerirsi nelle indagini. Non era nel suo stile e poi non valeva la pena di compromettersi per quella carogna di Orlando: si permetteva di insultarlo, di chiamarlo fascista… proprio lui, comunista rivoluzionario ganzo di una vecchia riccona!
“Certo, capisco, il sangue non è acqua – disse Allegri, rassicurato dalla cauta premessa del collega – tra fratelli ci si aiuta, è naturale.”
“Bene, l’importante è chiarirsi. Ora, se mi vuole scusare, devo chiamarela Questuraper avvertire che oggi sarò assente… per gravi motivi personali.”
“Le spetta un permesso retribuito – osservò amichevolmente Allegri – un problema così grave in famiglia mi pare una motivazione più che valida.”
L’osservazione riguardo alla situazione di Orlando parve a Sapìa un cortese avvertimento: non prometteva nulla di buono. Per ingraziarsi il collega decise di telefonare rimanendo in salotto: voleva apparire una persona schietta e corretta, un libro aperto.
Prima di chiamare la Questura fece il numero di casa, doveva tranquillizzare Edda.
“Sono Italo – disse, prevenendo le domande e i rimproveri della moglie – ho fatto tardi per motivi… tecnici. Sto bene e ti richiamerò stasera, ciao.” La moglie ebbe appena il tempo di mormorare “Ma…”
Poi Sapìa telefonò in Ufficio. Non erano ancora le otto e Magliana di certo si trovava per strada: chiese di parlare con Strambi. Il giovanotto soffriva d’insonnia, si svegliava sempre alle quattro e così, alle sette, era già nel suo stanzino, seduto alla scrivania con lo sguardo perso nel vuoto.
“Sono Sapìa, deve farmi un favore, Strambi: telefoni all’Ufficio Personale e avverta che ho un grave impedimento, un problema improvviso. Insomma oggi non vengo al lavoro e forse neanche domani… mi metto in ferie…anzi, prendo tre giorni di permesso retribuito. Con il Vicequestore me la vedo io, quando torno. E dica a Magliana che mi deve sostituire.”
“Si sente male, dottore? – chiese Strambi, reso dalla depressione sensibile alla più piccola sfumatura di sofferenza altrui – se ha bisogno di qualcosa, per quello che posso fare, sono a sua disposizione.”
“La ringrazio ma sto ottimamente, non si tratta di un problema di salute… questioni di famiglia, faccende legali… eredità, scocciature burocratiche insomma. La ringrazio comunque dell’offerta, sarà per un’altra volta…le auguro una buona giornata!”
Strambi, tutto sommato, non si era rivelato peggiore di Magliana: aveva un carattere troppo sensibile per frequentare senza ambasce obitori e carceri o trattare con feroci criminali ma non sembrava stupido… un ingenuo sognatore, come Morganti senza il fiuto da segugio dell’ispettore. Però un commissario poteva occuparsi anche di usura, truffa, furti in appartamento:
“Non tutti cantano da basso, ci sono anche i tenori e persino i falsettisti – si disse riponendo il telefonino nella tasca interna della giacca – prima o poi devo fare una bella chiacchierata con il giovanotto.”
“Fatto? – chiese Allegri – ora, se vuole, l’accompagno a vedere dove abbiamo ritrovato il corpo della povera signora Bertoni.”
“La ringrazio ma, come ho già detto, non voglio mettere il naso in cose che esulano dalle mie competenze… per non parlare del conflitto d’interesse! La metterei in una posizione ambigua.”
“Via, non sono un ragazzino! so quello che posso o non posso fare: venga a vedere, così, per curiosità, da collega a collega.”
Sapìa decise di accettare la proposta: non aveva sollecitato quel favore ma, visto che Allegri insisteva, perché non accontentarlo?
“Aspettate: faccio strada” disse Orlando, seguendo i due commissari in giardino.
“Non occorre, conosco la strada… lei rimane qui” ordinò Allegri, evidentemente infastidito dall’invadenza di quel giulivo sospettato.
“Desidera rimanere solo con me – pensò Sapìa – dunque deve riferirmi qualcosa d’importante e riservato.”
Allegri però si mise a parlare del più e del meno, del panorama, del prezzo degli affitti estivi a Cala Marina, delle meduse che avevano rovinato la passata stagione.
Quando giunsero nel punto del sentiero da cuila Bertoniera precipitata Sapìa si sporse per guardare in basso: lo strapiombo terminava in riva al mare, sei o sette metri sotto.
“Un bel volo, vero? fatale per via delle rocce…se fosse caduta un metro a destra forse si sarebbe salvata.”
“E’ stata spinta?” chiese Sapìa. Visto che Allegri l’aveva tirato in ballo voleva farsi un bel giro di valzer.
“A un primo esame direi che non l’hanno gettata di peso e neppure spinta – rispose Allegri – il punto d’impatto non si discosta molto dal dirupo, non ci sono lividi, segni di difesa… insomma sembrerebbe scivolata accidentalmente…però era scalza e aveva le gambe graffiate”.
“Non ci trovo nulla di strano: siamo al mare, capita di camminare a piedi nudi. Quanto alle ferite, saranno dovute alla caduta, non crede? la parete rocciosa è piena di spuntoni.”
“Vede, Sapìa, il fatto è che i graffi sono stati causati da rovi, non da rocce, e le ciabatte della Bertoni si trovavano tra i cespugli sopra il sentiero, una zona del parco lasciata “al naturale”: insomma la povera signora stava correndo in mezzo ai bronchi, fuori dallo stradello, e andava talmente di fretta da perdere i sandali. Poi, secondo la mia ricostruzione, con un balzo è passata dalla collinetta al sentiero ma ha posato male il piede oppure è inciampata, volando nel dirupo. Guardi, non c’è recinzione e il corrimano si trova nella parte interna del camminamento.”
“Insomma, cosa vuole da me? – domandà Sapìa bruscamente ma senza acrimonia – dovrei chiedere a mio fratello se inseguiva la sua amante tra i cespugli per ucciderla? farlo confessare?” Con un tipo come Allegri era meglio giocare a carte scoperte.
“Certo che no! – replicò Allegri pacatamente – ma anche lei ammetterà che gli indizi suggeriscono una precisa dinamica dell’accaduto… la signora Annalaura stava fuggendo da un aggressore, tuttavia la caduta potrebbe anche essere la conseguenza del tutto involontaria di uno scherzo o di un innocente gioco amoroso… stranezze dei ricchi. Ora, nell’ipotesi che suo fratello sappia che la morte della Bertoni è stata davvero un incidente…al massimo si potrebbe parlare di omicidio colposo, omissione di soccorso. Lei comprende che, in casi del genere, una confessione spontanea può essere determinante in sede processuale: basterebbe che Orlando mi dicesse come si sono svolti i fatti….”
“Insomma, le sue dichiarazioni dovrebbero concordare la ricostruzione dell’accaduto” osservò Sapìa.
“Per il momento non esiste una ricostruzione ufficiale… il particolare delle ciabatte ritrovate nel parco non è stato ancora divulgato e nessuno ha visto i graffi sulle gambe della signora, a parte i domestici filippini giunti per primi sulla spiaggia. Ines, la cameriera, ha coperto il cadavere con la sua vestaglia.”
“Ma perché mi ha riferito notizie riservate, le ha dato di volta il cervello! – esclamò Sapìa stupito – è una violazione del segreto d’ufficio, per giunta, in concorso con il fratello di un sospettato! Ha deciso per caso di metterci nei guai?”
“Ma via! alla mia età e con il lavoro che faccio se non fossi in grado di riconoscere a colpo d’occhio una persona di cui mi posso fidare dovrei cambiare mestiere, non le pare?”
Sapìa si sentì mancare la sabbia sotto i piedi: aveva di fronte un Morganti invecchiato, un servitore della Legge giunto alle soglie della pensione con l’illusione di poter distinguere il male dal bene, come se fossero entità reali e separabili.
“Lei è fortunato, Allegri – rispose con un sospiro – io sono l’ultimo dei Moicani…ma non faccia più esperimenti del genere, rimarrebbe deluso.”
“Beh, adesso torniamo alla villa – disse il collega, fingendo di non aver colto il velato rimprovero – su, mi dica cosa pensa della mia proposta… parlerà con suo fratello?”
“Lei deve essere un po’ matto, Allegri – disse Sapìa – però ho deciso di assecondare la sua follia. Sonderò il terreno con Orlando ma, se colgo anche solo un barlume di colpevolezza, farò di tutto per mandarlo in galera, anzi, come dice mia moglie in gattabuia!”
“Guardi che mi ha frainteso: io non voglio questo genere di collaborazione! si figuri… neppure la legge pretende che si tradisca il proprio sangue – replicò costernato Allegri – le ho parlato solo per vedere se si potevano togliere le castagne dal fuoco senza troppo rumore… risolvere la questione rapidamente, senza lasciare spazio alle chiacchiere… lei è un collega e, mi pare, anche una persona seria, non merita che certi giornalisti d’assalto zuppino il biscotto nei dispiaceri della sua famiglia.”
“La ringrazio, non desidero certo finire nel tritacarne mediatico, ma le garantisco che lei non mi chiede nulla che io non sia disposto a fare spontaneamente – dichiarò con un certo orgoglio Sapìa – però non voglio che mi giudichi un bacchettone spietato pronto a sacrificare un fratello sull’altare della Giustizia.”
“Io non la giudico affatto, davvero!” disse Allegri.
Sapìa si fermò bruscamente a qualche metro dalla porta finestra del salotto: voleva concludere quella delicata conversazione lontano da ascoltatori indiscreti.
“Il fatto è che Orlando all’anagrafe può anche risultare mio fratello, ma dentro di me, in fondo al cuore è un estraneo, una tara che ho ereditato come si eredita una malattia vergognosa…già a quindici anni si è messo a fare di testa sua, anche lei ricorderà cosa combinavano gli studenti negli anni Settanta… prima è diventato anarchico, poi militante della sinistra extraparlamentare e sempre con la sua bella canna in tasca, l’eskimo, i capelli lerci a mezza spalla, parolacce e insulti come piovesse: nostro padre era un preside… pensi che umiliazione per un insegnante: qualsiasi genitore poteva dirgli medice, cura te ipsum! Passata la sbronza politica il caro Orlando voleva diventare artista: Accademia di Belle Arti, compagnie strane, viaggi in Oriente… per strada faceva buffonate che chiamava ‘installazioni’. Meritava lui di essere installato… in un manicomio, ma all’epoca erano già chiusi. Spariva per mesi e poi ricompariva, magro e malaticcio, a caccia di soldi.”
“La prego – disse Allegri imbarazzato – non continui, sono cose troppo personali e lei non mi deve nessuna spiegazione.”
“La prego io di ascoltarmi, fino in fondo – esclamò Sapìa – abbia la pazienza di sentire tutta la storia: mi preme spiegare le ragioni del mio atteggiamento…innaturale. Per farla breve le continue mattane di Orlando hanno amareggiato a me la giovinezza e ai miei genitori la vecchiaia.”
“Comprendo la situazione: i figli, a volte, sono la croce dei genitori!” disse Allegri, cercando di interrompere una confessione del tutto fuori luogo tra estranei. Inavvertitamente aveva messo il dito non in un normale rapporto fraterno ma in una piaga familiare incancrenita e, ora, si trovava in piena tragedia greca.
“E non sa ancora il peggio – aggiunse Sapìa – ma forse la sto annoiando?”
“No, no, parli pure – rispose rassegnato Allegri – non mi disturba, sono solo dispiaciuto per lei. Anch’io ho un figlio adolescente che mi da tanti grattacapi… un po’ come suo fratello.”
“Non lo dica neppure per scherzo! altro che grattacapi! C’e una cosa… una cosa che non ho raccontato a nessuno, mai, neppure a mia moglie… un giorno, lavoravo già in Polizia, sopresi Orlando in salotto, con una pistola in mano… minacciava nostro padre per costringerlo ad aprire la cassaforte… doveva saldare un grosso debito con una banda di spacciatori. Il sangue mi andò alla testa: all’epoca ero agile e facevo un po’ di judo così prima mi sfogai pestandolo di santa ragione e poi lo costrinsi a entrare in una comunità. Bene o male si rimise in carreggiata: era cambiato ma aveva una visione della vita altrettanto balorda della precedente. Si vestiva con eleganza, frequentava locali alla moda, amoreggiava con le figlie de… aveva i desideri dell’edonista ma non i mezzi. Per via di un furto avevo conosciuto i Bertoni e così pensai di sistemare Orlando a casa dell’ingegnere: con lui, se non altro, avrebbe fatto la bella vita di riflesso.”
“Il furto in casa Bertoni… ricordo la vicenda, un colpo da cinquecento milioni, un lavoro da professionisti… però sono stati beccati” osservò Allegri.
“Già, li ho incastrati io, recuperando anche il bottino. Bertoni, riconoscente, chiese se poteva sdebitarsi con me in modo legale e io gli raccomandai mio fratello, ovviamente senza nascondere i suoi demeriti… l’ingegnere si mostrò comprensivo e Orlando, per ringraziamento, gli sedusse la moglie. Un fratello scapestrato potevo anche sopportarlo, un gigolò no, era veramente troppo. Nel frattempo i nostri genitori erano morti e decisi di tagliare i ponti… immagini come mi sono sentito quando ieri, dopo tanti anni, Orlando mi ha cercato. Sono venuto qui solo per trovargli un buon avvocato…niente di più…per amore della povera mamma. Comunque, anche se lo detesto, sono disposto a trattarlo come un qualsiasi estraneo, innocente fino a prova contraria: se mi convincerà al cento per cento di essere estraneo ai fatti bene, altrimenti, caro Allegri, la prego di sbatterlo in galera, per vent’anni… che sconti anche il male fatto alla famiglia.”
“Le prometto che terrò presente la sua valutazione. Sarà un giudice tutt’altro che pietoso!” disse Allegri, un po’ commosso e contento che lo sfogo del collega fosse giunto alla fine.
“Non merita pietà, mi creda!” mormorò Sapìa entrando nella villa.
“Chi non merita pietà?” chiese Orlando, seduto in un angolo ombroso della stanza.
“Chi uccide un bambino…stavamo parlando del caso della piccola uccisa a calci dal convivente della madre” rispose Allegri con insospettabile prontezza.
“Che orrore!” commentò Orlando.
Rosanna Bogo