Seconda parte.

Qui la prima parte.

Vita in villa.

“Ma dov’eri finito, Italo?! – esclamò Orlando, aprendo il cancello di villa Bertoni, un elegante manufatto in ferro battuto disegnato da uno dei migliori architetti Liberty della Riviera – perché hai spento il telefonino? Edda è preoccupata… mi ha già chiamato tre volte, poverina.”

“Scusa tanto se sono in ritardo – rispose ironico Sapìa, chiudendo lo sportello dell’auto – ma hanno sgozzato una donna vicino alla piazzola dov’ero parcheggiato e gli omicidi sono sempre seccature, ormai dovresti saperlo anche tu!”

“Una donna uccisa ai margini della strada… una battona? E che ci facevi in un posto del genere? ah… capisco, birichino… però un morigerato padre di famiglia non dovrebbe coltivare certi vizi – esclamò il fratello ridacchiando, sapeva bene che Italo non si concedeva passatempi del genere –  giuro che non dirò nulla a Edda! Non faccio la spia, io.”

“Razza d’imbecille! – replicò Sapìa bruscamente – ero fermo sulla piazzola perché stavo parlando con te al telefono!”

“Allora è successo verso le due… alle due e dodici, per esattezza: ho guardato la sveglia quando mi hai fatto sobbalzare nel letto” precisò Orlando.

Sapìa non rispose: in quel momento il delitto della superstrada era l’ultimo dei suoi pensieri.

I due fratelli si avviarono in silenzio lungo lo stretto sentiero a gradini che, dal cancello d’ingresso, portava alla villa. All’orizzonte la sfera del sole era quasi del tutto emersa dal mare: l’alba stava diventando giorno.

“Ecco la modesta magione dei Bertoni” disse Orlando aprendo il portone di casa.

“Vedo che il buonumore non ti manca, nonostante il recente lutto – replicò il fratello – certo vivere in un posto del genere mette allegria… caro marxista dei miei stivali.”

“Che ci vuoi fare, Italo, i tempi cambiano e noi mutiamo con loro. Quanto ai miei sentimenti… sono addolorato per la povera Annalaura, ci mancherebbe altro! però ho la coscienza tranquilla: io non sono colpevole e, come diceva sempre mamma, ‘male non fare paura non avere’ – osservò pacatamente Orlando – prima o poi la verità verrà fuori…comunque se ti serve un alibi per la ragazza assassinata, io sono qui: tra fratelli questo ed altro!”

“Ascoltami bene, Orlando – disse Sapìa, buttandosi sulla prima poltrona a portata di mano – per colpa tua non dormo da un giorno, ho passato la notte in compagnia di un cadavere e mi sento la schiena a pezzi: non ho voglia di scherzare. E’ chiaro?”

“Scusa, Italo… con tutto quello che è accaduto sono un po’ fuori di testa” rispose sottovoce il fratello.

“Una sistemazione davvero di lusso – pensò Sapìa guardandosi intorno – un parco a picco sul mare, una villa inizi Novecento con mobili d’antiquariato, un’auto sportiva gialla, il colore preferito di Orlando, parcheggiata vicino all’ingresso… e lui: magro, abbronzato, biondo, senza una ruga. Non sembra davvero un uomo di quasi cinquant’anni!”

“Bello  vero?” disse Orlando, notando lo sguardo del fratello che vagava per la stanza.

“Sì, il povero ingegnere aveva buon gusto” osservò Sapìa.

“Figurati! Bertoni era ignorante come una capra, lo conoscevi anche tu… un neandertaliano: ingegnere sulla carta, onoris pecunia – esclamò Orlando – io posso ben dirlo! per quindici anni ho fatto il segretario a quell’analfabeta e ti garantisco che non riusciva a scrivere due righe di saluti senza fare tre strafalcioni.”

“Già, tu surrogavi alle sue carenze… in tutti i campi…” disse Sapìa sprezzante. Sapeva che la relazione tra la signora Bertoni e Orlando era nata in epoca ben anteriore alla vedovanza.

“E allora? un marito anziano e ricco con una moglie bella e intelligente: sono forse il primo uomo al mondo che ha approfittato di una situazione del genere? E poi Annalaura era innamorata di me e mi capiva… insisteva perché riprendessi a dipingere!”

“Sì, il cancello della villa – aggiunse ironico Sapìa – ma se eravate così uniti perché non vi siete sposati, dopo la dipartita di Bertoni?”

“Per via del figlio… questioni ereditarie” rispose Orlando rattristato.

“Moglie devota e madre ammirabile!” commentò il commissario, sarcastico.

“Non è bello scherzare su una persona morta – mormorò Orlando – per me Annalaura era davvero una donna speciale. Mi bastava vivere accanto a lei per sentirmi felice.”

“E chi non sarebbe contento di vivere in un paradiso del genere? spero che tu abbia messo  da parte le briciole di questo Bengodi perché i bravi avvocati costano.”

“Io non ho bisogno di un bravo avvocato, sono innocente! – obiettò Orlando, prendendo una tazza di caffelatte dal vassoio che una cameriera assonnata aveva appena deposto sul tavolino del salotto. Anche Sapìa si servì generosamente, la mattina aveva sempre fame. Guardò la pendola Luigi XV che troneggiava accanto al caminetto. Erano solo le sei.

“Senti Orlando, io con gli omicidi ci campo e ti garantisco che le cose non vanno sempre lisce come pensi tu – disse Sapìa con tono amichevole… visto che la logica non faceva breccia nella testa dura del fratello bisognava ricorrere alle armi della persuasione – noi poliziotti siamo persone normali, a volte prendiamo cantonate e poi abbiamo pregiudizi, sentimenti, antipatie, al pari di tutti gli esseri umani. Ad esempio, non credi che la tua posizione di amante mantenuto dalla vittima ti renda, oltre che sospetto, antipatico? Prova a metterti nei panni del commissario incaricato d’indagare sulla morte della Bertoni… un poveraccio che riceve un modesto stipendio statale e di certo non è molto contento della sua vita: entra in questa villa, vede i mobili d’antiquariato, i quadri antichi, la fuoriserie gialla e, infine, un gigolò abbronzato vestito come un damerino… sai cosa pensa?  guarda che marpione… magari si è liberato della vecchia per amore di una donna più giovane oppure la signora stava per dargli il benservito e lui l’ha prevenuta… insomma l’istinto gli suggerisce di indagare su di te e lui comincia a scavare come un cane da tartufi… e scava, scava, scava finché non trova qualcosa in grado di confermare la sua supposizione.  E ti sbatte dentro con sommo piacere.”

“Io non sono un tartufo e Annalaura non era una vecchia, aveva solo nove anni più di me!” disse Orlando risentito.

“Sei incredibile! Hai cinquant’anni e vivi ancora nel mondo dei sogni: devi metterti in testa che esistono gli errori giudiziari e un bravo avvocato potrebbe darti consigli utili su come affrontare gli interrogatori, presentare un alibi convincente, trovare le parole giuste per fare buona impressione. Quando hai a che fare con poliziotti e magistrati essere innocenti non basta, occorre anche sembrarlo.”

“Io non ho nulla da nascondere, i tuoi colleghi possono sottopormi anche al terzo grado, si accomodino pure!” replicò Orlando.

“Ma quanto sei ingenuo! E se ti confondi? – esclamò Sapìa – chi conosce i trucchi del mestiere riesce a farti dire anche quello che non pensi.”

“Che chiedano pure: se dico sempre tutta la verità, solo la verità e nient’altro che la verità, non mi posso confondere!” ribadì convinto Orlando.

“E l’alibi? Ce l’hai almeno uno straccio di alibi? – domandò Sapìa, spazientito – dov’eri quando è successo il fatto?”

“Nella mia camera da letto… io e Annalaura avevamo stanze separate. Dormivo con i tappi negli orecchi, come faccio quasi sempre, e non ho sentito nulla: mi ha avvertito dell’accaduto la cameriera, dieci minuti dopo l’incidente. Di sicuro Annalaura stava scendendo alla caletta per vedere il tramonto della luna, le piaceva tanto… avrà messo un piede in fallo, il sentiero è ripido e senza parapetto. Ines, la domestica, è stata svegliata da un urlo. Lei e il marito si sono precipitati fuori e hanno trovato Annalaura sulla spiaggia, già morta. E’ caduta da un’altezza di sei o sette metri… poteva anche salvarsi, la sabbia è morbida, ma ha centrato una roccia. Poverina, era destino che finisse così. Comunque si tratta di una disgrazia e nessuno riuscirà mai a dimostrare che avevo un movente per ucciderla… al contrario: è chiaro che la sua morte mi danneggia, con lei facevo una vita da nababbo e ora tutto il patrimonio passa al figlio Luigino… dovrò campare con un modesto benservito del vecchio Bertoni. L’ingegnere era al corrente della mia relazione con la moglie ma non me ne voleva… nel suo testamento ha disposto una specie di liquidazione, nel caso Annalaura mi avesse lasciato oppure fosse morta: avrò centomila euro e un piccolo appartamento a Montecarlo… lontano dal centro.”

“Poverino… ti toccherà chiedere l’elemosina!” commentò ironico Sapìa che in banca, dopo ventisette anni di onorato servizio, non aveva metà di quella cifra e possedeva un quartierino di quattro stanze in periferia.

“E’ un lascito sostanzioso, lo so, ma si tratta di un’inezia rispetto al patrimonio dei Bertone.”

“Insomma, non sei con il culo per terra – disse con voce falsamente comprensiva il commissario – ma temo che dovrai impegnare buona parte delle tue future ricchezze in avvocati e periti. Magari questo Luigino è disposto a farti un prestito: quando arriva?”

“Si trova già qui, da una settimana – rispose Orlando – voleva trascorrere una breve vacanza con la mamma.”

“E, quando non è in ferie, cosa fa il povero orfano?”

“Nulla, a parte respirare… come tutti i rampolli della razza padrona.  Non hanno bisogno di guadagnarsi la pagnotta, il loro lavoro è sperperare quello che i genitori e i nonni hanno rubato agli operai. Vivo in questo mondo da tanti anni e li conosco bene: tu t’intendi di assassini, io di ricchi.”

“Onore al compagno Sapìa!” esclamò il commissario alzando il pugno chiuso con una smorfia di scherno.

“Sfotti, sfotti pure, però tu, questa gente, la proteggi in cambio di un miserabile stipendio – replicò Orlando, divenuto all’improvviso serio e aggressivo – io invece la sfrutto.”

Ex ore tua te iudico… – disse Sapìa – hai appena detto di essere un parassita e sai che mi viene da pensare, così, a naso?”

“Sentiamo, sono tutto orecchi, signor commissario!”

“Penso che tu e quel perdigiorno di Luigino potreste aver eliminato la povera Annalaura per dividervi il bottino. Ovviamente si tratta solo di un’ipotesi ma non tanto campata in aria.”

“Hai davvero un humour da canonica, Italo – mormorò Orlando – credevo che t’importasse qualcosa di me, ma vedo che sei qui solo per prendermi in giro e…vendicarti.”

“E di cosa mi dovrei vendicare? del fatto che sei un idiota e, da più di trent’anni, trascini nel fango un cognome che, detto per inciso, è anche il mio? Un danno del genere non si può risarcire.”

“Lo sai bene di cosa parlo. Il babbo con te ha tenuto la briglia corta, insomma ti ha tartassato ben bene, mentre io ho sempre fatto quello che volevo… eri convinto che fossi il suo favorito, il figlio minore viziato per troppo amore… e sei ancora geloso, persino adesso che lui non c’è più. Ma ti sbagli… il babbo non mi voleva più bene, era solo diventato più vecchio e più debole. Tra noi corrono quasi dieci anni: dai cinquanta ai sessanta, un uomo cambia, non ha più voglia di lottare. E poi considera che abbiamo caratteri diversi… senza offesa, ma tu sei sempre stato un cagasotto, una vittima predestinata! Lo sai, vero, come ho messo in riga il professor Goffredo Sapìa? Avevo quindici anni, te lo ricordi? Una settimana fuori casa senza dare notizie e il vecchio leone si è sciolto come cera: se osava rimproverami la mamma gli mollava certi calci sotto il tavolo da azzoppare un elefante!”

Sapìa avrebbe preferito dimenticare quel triste episodio ma, suo malgrado, ricordava perfettamente le lacrime della madre e la costernazione del padre, additato da tutti come il tiranno che aveva fatto fuggire il piccolo Orlando.

“Con la tua severità gli farai venire la paranoia, come a quello strambo di Italo” aveva sentenziato la zia Carolina, carezzando la testa dell’angioletto ribelle appena ricondotto in seno alla famiglia da una pattuglia di carabinieri.

Orlando aveva fatto un passo falso evocando un passato così doloroso per il fratello.

“Tu…tu…sei una carogna – sbottò Sapìa, cercando di scacciare dalla mente quei ricordi angosciosi – non dovresti neppure nominare i nostri genitori: hai fatto venire il crepacuore alla mamma e il babbo… certi giorni non usciva neppure da casa per timore di vederti in cima al muretto della scuola, con la bandiera rossa in mano e il megafono… tu, il figlio del preside, aizzavi i compagni a scioperare, a occupare il liceo, a imbrattare i muri!”

“In gioventù ho fatto i miei errori e li ho pagati di tasca mia” sentenziò Orlando.

“Ti sbagli, fratello, anch’io ho pagato una parte dei tuoi debiti: vivevamo nella stessa casa e, tutti i giorni, sentivo liti, pianti, discussioni, sempre per colpa tua… e mi sforzavo di fare il figlio ubbidiente per non aggravare la situazione.”

“Invidia, solo invidia! ti disturbava che un ragazzino tenesse testa al vecchio mentre tu strisciavi. Hai sempre avuto il complesso di castrazione: per te il potere paterno, le leggi, l’autorità statale sono sacri e intangibili. Sotto sotto sei un represso…un fascista… non a caso fai il questurino!”

Sapìa saltò in piedi avventandosi contro il fratello come una furia: stava per mettergli le mani alla gola quando il campanello d’ingresso suonò.

“Qualcuno al cancello principale… l’apri-porta è rotto – disse Orlando, sottraendosi alla presa del fratello – vado ad aprire. Sarà il commissario Allegri, è un tipo mattiniero. Oggi ha in programma un sopralluogo in giardino con Ines e Adolfo, i camerieri.”

Orlando uscì in fretta dal salotto. Era contento che il duello con Italo si fosse interrotto al primo sangue: in quel momento aveva bisogno del suo aiuto e poi sapeva che le parole del fratello, come un tempo quelle del padre, contenevano una buona dose di dura verità.

Rimasto solo Sapìa lentamente si tranquillizzò. Non doveva arrabbiarsi con Orlando, era come prendersela con la grandine. Alla sua età ragionava ancora come il ragazzino discolo di un tempo: probabilmente sarebbe morto a cent’anni senza rendersi conto del male che aveva fatto ai suoi familiari e, in fondo, anche a se stesso.

Continua…

 

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Rosanna Bogo