Prima parte.
Affari di famiglia.
Il commissario Sapìa infilò la chiave di casa nella serratura. Una, due, tre mandate… almeno questa volta i familiari si erano preoccupati di chiudere la porta. Entrò sbattendo l’anta con energia, per farsi sentire:
“Sono io, Edda,” disse ad alta voce. Voleva evitare che, al solito, la moglie si affacciasse alla cucina esclamando con aria sorpresa ‘ah, sei tu, Italo’.
Da vent’anni rientrava a casa più o meno alla stessa ora e, da vent’anni, Edda si meravigliava che l’intruso con un mazzo di chiavi in mano piantato in mezzo al corridoio non fosse un ladro ma suo marito.
Una volta, fresco sposino, Sapìa aveva chiesto alla moglie perché, nel dubbio di trovarsi faccia a faccia con un malintenzionato, non brandisse un mattarello o un batticarne e lei, con un sorriso serafico aveva risposto: “Ma lo so che sei tu… ti riconosco da come giri la chiave!”
Il commissario rimase immobile accanto alla porta. Le luci erano accese ma la casa sembrava vuota… brutto segno. Dopo qualche secondo la signora Edda fece capolino nell’ingresso ed esclamò:
“Ah, sei tu, Italo! – dalla voce però sembrava più ansiosa che stupita, evidentemente covava qualche problema… infatti, subito dopo, aggiunse – ti aspettavo!”
Sapìa, rassegnato alla sventura, entrò in cucina e chiuse la porta.
“Su, dimmi quale disgrazia ci ha colpito, questa volta!” chiese pacatamente, sedendosi al tavolino.
“Togliti almeno la giacca…lo sai quanto costa la lavanderia” replicò la moglie. Cercava di guadagnare tempo, era nervosa, di sicuro non doveva trattarsi di una delle solite sciocchezze: Fredo che prende un brutto voto, Paolino che si sbuccia un ginocchio, la suocera malata o l’arpia del piano di sopra con il suo bucato gocciolante.
Comunque, si consolò Sapìa, non poteva essere un fatto davvero grave, altrimenti Edda avrebbe chiamato sulla ‘linea rossa’ d’emergenza.
“Allora? parla, sono seduto e pronto a tutto.”
“Ecco…verso le cinque il telefono ha squillato e io ho risposto… rispondo sempre quando il telefono suona, qualcuno potrebbe sentirsi male, la mamma oppure uno dei ragazzi … e tu fai un lavoro così pericoloso!”
“Certo, potevano chiamare dall’ospedale o dall’obitorio… invece…? Si può sapere chi accidenti ci ha telefonato questo pomeriggio? sei più reticente di un mafioso!”
“Orlando” disse Edda, con l’aria del soldato consapevole di avere tirato la spoletta della bomba a mano troppo presto.
“Orlando!!! – urlò Sapìa saltando in piedi – ci mancava solo Orlando, la ciliegina sulla torta, lo sai che non me lo devi neanche nominare!”
“Ma Italo – obiettò timidamente la moglie – è pur sempre tuo fratello!”
“Sì, hai ragione, è mio fratello – replicò Sapìa uscendo dalla cucina imbufalito – ma io mi considero figlio unico.”
A tavola la signora Edda non tornò sull’argomento: era vietato discutere di questioni importanti di fronte ai figli. Bisognava mantenere la gerarchia familiare: loro due, i genitori, erano gli ufficiali, Annalisa, Goffredo e Paolo i soldati… e la truppa, si sa, deve eseguire gli ordini senza tante spiegazioni.
A mezzanotte Sapìa decise di spengere il televisore: prima o poi doveva pur andare a letto.
“Non vuoi sapere cosa mi ha detto?” gli domandò la moglie, vedendolo entrare in camera. Contrariamente al solito era ancora sveglia e con la luce del comodino accesa.
“Conosco già la risposta: ha bisogno di denaro, è malato oppure sta nei guai… qual è la giusta: a, b o c?” chiese Sapìa. Parlava a bassa voce ma, in cuor suo, stava urlando.
“La terza. Buona notte” rispose Edda, dando le spalle al marito. Era evidentemente indispettita. Dopo tutto il fratello era suo! per lei Orlando si identificava con un giovanotto incontrato solo una volta, al pranzo del matrimonio… un perfetto estraneo. I ragazzi poi non l’avevano mai visto, per loro era uno zio fantasma.
“Non ti metterai mica a dormire proprio adesso! – disse Sapìa scuotendo per una spalla la moglie – sputa il rospo!”
“Ma per chi mi hai preso, per uno dei tuoi delinquenti? – esclamò, sempre sottovoce ma con tono irato, Edda – se lo vuoi proprio sapere è nei guai… guai brutti, giudiziari… però, se a te non interessa, figurati a me! Può anche passare tutta la vita in prigione.”
“Sta in galera?” chiese stupito Sapìa: Orlando non si era mai spinto tanto avanti su quella che il padre chiamava “la via lastricata dell’Inferno.”
“No, per ora no: si trova a Cala Marina, nella villa dell’Ingegner Bertoni…ma in gattabuia ci finirà presto e con l’accusa di omicidio…”
Sapìa saltò giù dal letto, afferrò i panni che si era appena tolti e, mormorando tra sé, rabbiosamente, ‘gattabuia!’, parola che detestava con tutto il cuore, corse in bagno.
Dopo cinque minuti era già vestito e pronto per uscire.
“Questo è il recapito telefonico che mi ha lasciato – disse la signora Sapìa, raggiungendo il marito sulla soglia di casa con un foglietto in mano – la vittima è la vedova dell’ingegner Bertoni, forse si tratta di omicidio… però non correre, Italo, guida con prudenza! per le strade di notte girano tanti ubriachi!”
Sapìa accennò un bacio d’addio sulla guancia della moglie, gesto richiesto dalla drammatica situazione. Edda gli carezzò di sfuggita la fronte poi, notando la mancanza di un elemento essenziale per ogni missione rischiosa, aggiunse – non porti il cambio della biancheria?”
“No, non ho intenzione di fermarmi, torno in serata… già: vado, l’ammazzo e torno!” rispose Sapìa a bassa voce, chiudendo con attenzione la porta per non svegliare i figli.
Uscire di casa e guidare per due ore, in piena notte e dopo una giornata di lavoro, era quello che il Commissario definiva una ‘stravaccata’ e un fratello come Orlando non meritava davvero un sacrificio del genere.
“In effetti non sono preoccupato per lui – pensò, turbato dalla terribile ansia che gli serrava lo stomaco – sto correndo a salvare il buon nome dei Sapìa!”
Orlando aveva sempre creato problemi: ex rivoluzionario senza arte né parte, pittore fallito mantenuto da una matura e facoltosa vedova, era la tipica pecora nera immancabile nelle migliori famiglie…
“Però – esclamò ad alta voce il commissario – leggere sui giornali che un certo Orlando Sapìa viene accusato di omicidio è un altro paio di maniche! Non ci chiamiamo mica Rossi o Bianchi!”
Verso le due di notte Sapìa si fermò in una piazzola dell’autostrada per avvertire Orlando del suo imminente arrivo: voleva almeno la soddisfazione di svegliarlo in piena notte. Era sempre stato un dormiglione e, nella sua testa, i pensieri inquietanti ricevevano subito lo sfratto.
Aveva appena spento il motore quando, da un cespuglio, sbucò una giovane donna in abiti succinti. La ragazza si avvicinò alla macchina dicendo, in una lingua di sua creazione ma perfettamente comprensibile, “Tendla eulo.”
Sapìa abbassò il finestrino e, gentilmente, rispose:
“Grazie per la conveniente offerta, signorina, ma sono gay.”
“Tu gualdale, venti eulo.”
“Mi spiace, sono anche cieco” aggiunse un po’ irritato il Commissario, chiudendo bruscamente il vetro.
“Che tempi! – mormorò tra sé Sapìa – una povera donna attraversa il Sahara per venire a fare la vita ai margini di un’autostrada…e noi sogniamo di trasferirci in un’isola sperduta tra i selvaggi!”
A fari spenti spostò la macchina in un angolo buio, per non creare problemi all’attività della regina dei cespugli.
“Favoreggiamento della prostituzione, Italo” si disse, cercando di trovare divertente la situazione.
Fece suonare a lungo il telefono di Orlando: anche in una situazione del genere quel farabutto era capace di dormire con i tappi negli orecchi.
Dopo qualche minuto, mentre ancora tentava di rintracciare la vergogna dei Sapìa, notò che una macchina si stava fermando all’altro capo della piazzola.
Nulla di strano, però la mente del commissario, per deformazione professionale, tendeva a registrare ogni evento al di fuori del quotidiano tran tran piccolo borghese.
Un uomo dall’andatura giovanile, ovviamente un cliente, scese dall’auto e, dopo un attimo, scomparve con la ragazza tra le ombre del boschetto, dietro i cespugli. La luna piena, alta in cielo, illuminava la romantica serata ma, a venti metri di distanza, i contorni della scena apparivano vaghi.
Proprio allora Orlando rispose al telefono, chiedendo con tono sonnolento e per nulla preoccupato: “Chi è?”
“Il diavolo che ti porti, razza di scimunito! sono Italo, per mia disgrazia tuo fratello! Perché hai chiamato Edda? Non devi coinvolgerla nelle nostre questioni, lo sai.”
“Ma tu, quando senti la mia voce, chiudi subito la comunicazione, come faccio a parlarti?” obiettò Orlando.
“Potevi mandarmi una mail!” rispose Sapìa, dopo un attimo d’incertezza. L’obiezione del fratello non era del tutto infondata.
“Non sono cose che si possono dire in due parole… io ed Edda abbiamo parlato più di mezz’ora…è stata molto comprensiva.”
“Allora dovevi scrivermi una lettera, spedire una raccomandata espresso, mandare il pony express, il corriere dello Zar, un piccione viaggiatore… un accidenti che ti pigli, grandissimo imbecille – esclamò Sapìa, furioso – facciamola finita qui… il resto te lo dico di persona! E non andare a dormire!”
Il commissario troncò bruscamente la comunicazione: non aveva voglia di sentire la risposta di quel caprone di Orlando.
Proprio in quel momento, all’altro capo della piazzola, la macchina del cliente accese i fari. Sapìa notò che erano passati solo cinque minuti:
“I giovani di oggi…la mattina leoni e la sera…”
L’auto s’immise in superstrada passando a qualche metro dal nascondiglio del commissario. Sapìa si ritirò nell’ombra notando il modello e, approssimativamente, anche il colore della macchina… abitudini da poliziotto in appostamento… ma non vide la faccia dello sconosciuto: una nuvola aveva appena oscurato la luna.
Stava per girare la chiave dell’accensione quando sentì un urlo terrificante: afferrò la torcia che teneva sul cruscotto e scese di corsa. Le grida provenivano dalla boscaglia… balzò dietro i cespugli pensando “avessi almeno portato la pistola per sparare a Orlando!”
Avanzò facendosi largo tra i rami e, dopo qualche metro, il fascio di luce della torcia illuminò un corpo femminile seminudo steso a terra, All’altezza della testa si allargava una pozza di sangue. Accanto, in piedi, una ragazza bionda si disperava strappandosi i capelli. Sapìa comprese subito che non c’era più nulla da fare per quella poveretta e compose il 113.
Aveva il cuore in gola. Che storia: commissario fermo in una piazzola frequentata da prostitute scopre il cadavere di una ragazza sgozzata… stava andando a trovare il fratello sospettato di omicidio… Davvero una bella famiglia questi Sapìa!
Rosanna Bogo