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I segnalibri di Sant'Agostino

Il 28 Agosto la Chiesa Cattolica festeggia Sant'Agostino. Noi abbiamo preparato dei segnalibri, utilizzando l'opera di Simone Martini. Potete scaricarli dall'area di download.

 

Archivio per dicembre 2011

Anche quest’anno è Natale, Sapìa – 4

Quarta e Ultima Parte.

Qui la Terza Parte.

I rapinatori non avevano un’aria professionale:

“Vigliacchi che se la prendono con quattro poveracci che stanno all’ospedale la notte della Vigilia e devono subire anche questo sopruso, come se non bastasse il male fisico – pensò irato Sapìa – così agitati di certo sono principianti… ancora più pericolosi… forse mirano all’armadietto della farmacia.”

I due balordi probabilmente avevano davvero in mente di rifornirsi gratuitamente di ‘roba’ ma, tanto per cominciare, si misero a ripulire i presenti.

Mentre il lungo, al centro della stanza, brandiva il taglierino, il bassetto iniziò a strappare catenine dal collo delle signore, rovistare nelle borsette e nei portafogli, sfilare gli anelli dalle dita.

Quando venne il turno di Pepito il delinquente però frugò invano. Irritato, colpì il povero Pampaloni in piena faccia con un pugno, poi gli assestò una ginocchiata nello stomaco e un paio di calci nelle gambe.

“Probabilmente è ‘fatto’ e non si controlla – pensò Sapìa – se avesse ancora qualche neurone in vita non perderebbe tempo a pestare un disgraziato senza un soldo in tasca, con il rischio di farsi beccare da un momento all’altro.”

L’aggredito, già stremato dal digiuno e non più giovane, subiva le percosse senza reagire.

“Lascialo stare, non vedi che è un morto di fame! – esclamò il commissario. Qualche legnata il Pampaloni se la meritava ma l’energumeno adesso stava esagerando! – perché non prendi il mio portafoglio?”

“Ma sì, hai ragione zio… chi sa quanta grana nascondi sotto quel bel cappottino da elfo” disse il rapinatore, infilando la mano nella tasca interna del loden di Sapìa.

Lo strafatto aprì con mani tremanti il portafogli: il commissario contava sull’effetto che avrebbe prodotto la vista del distintivo su quel mentecatto… non si aspettava certo di avere davanti un poliziotto e si sarebbe spaventato.

La sorpresa, in effetti, fece indietreggiare di qualche passo il rapinatore, dando a Sapìa lo spazio e il tempo per estrarre la pistola di Pepito: un giocattolo… ma chi poteva pensare che un commissario di Polizia andasse in giro con un’arma da bambini!

Il delinquente, convinto di trovarsi di fronte a una vera automatica, gridò al complice:

“Scappa, scappa Peppì, chillu è un figlien’trocchia.”

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Rosanna Bogo

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Anche quest’anno è Natale, Sapìa – 3

Terza Parte.

Qui la Seconda Parte.

Sapìa varcò per la seconda volta la soglia della Questura con un po’ d’ansia. Sperava di trovare il collega arzillo ma Strambi, più che sveglio, appariva decisamente agitato: camminava avanti e indietro nel corridoio con occhi spiritati… evidentemente la triplice dose di caffeina aveva prodotto un effetto superiore alle aspettative.

L’ispettore di turno, seduto al posto del piantone, seguiva gli spostamenti di Strambi muovendo la testa come se assistesse a un incontro di tennis.

“Buon Natale, dottore” disse l’ispettore Boscoli, visibilmente sollevato dall’arrivo provvidenziale della Sfinge.

“Una volta tanto qualcuno sinceramente contento di vedermi” pensò Sapia.

“Rocchini è andato a prendere un altro caffè per il commissario, alla macchinetta” aggiunse Boscoli.

“Il caffè se lo può bere lei… il commissario Strambi viene con me” replicò Sapìa, trascinando Oscar nel suo ufficio: era più grande e più comodo dello stanzino del collega.

Alla vista del cibo l’insonne si tranquillizzò, forse aveva solo fame. Mangiarono con voracità, in silenzio, come animali.

“Tutto buonissimo, come a casa della mamma! Meno male che neanche a lei piace il pesce” commentò Oscar, a bocca piena, aprendo il contenitore dell’arrosto.

“Vuole le mie patate? la sera mi restano sullo stomaco” disse, mentendo, Sapìa. Si era accorto che il collega aveva già spazzolato tutto il contorno prima ancora di addentare la carne. Come i bambini… si ricordò che faceva così anche con i suoi figli, quando erano piccoli: lui fingeva di non avere più voglia di mangiare e le piccole manine si precipitavano nel suo piatto contendendosi le patatine.

“Se proprio non le digerisce… le prenderei volentieri” mormorò Oscar, servendosi senza ritegno.

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Rosanna Bogo

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Lieto fine per una fiaba triste

L’albero illuminava la stanza di un sommesso calore natalizio quando Giulio si lasciò cadere sul divano. Pensava. La piccola Lisa aveva scartato i doni sotto l’albero solo un’ora prima e adesso dormiva tranquilla nel lettone insieme alla mamma. Nella sua testa, invece, si inseguivano i ricordi. Si alzò dal divano e si avvicinò all’albero. Si chinò ad osservare uno ad uno i regali, poi prese in mano un bel libro di fiabe natalizie, regalo di sua sorella per Lisa. Lo aveva adocchiato subito, tra gli altri, e ora voleva verificare se aveva visto giusto. Lo sfogliò e trovò la conferma di quello che cercava. Con il libro in mano si spostò nello studio. Si armò di forbici, colla e nastro adesivo ed iniziò il lavoro. Tagliò con cura le ultime due pagine e con la colla cercò di nascondere le tracce della mutilazione. Non che non si vedesse che mancava qualcosa…… Giulio osservò le pagine staccate, piene di bei disegni colorati e provò le stesse sensazioni che aveva provato da bambino. I suoi occhi si inumidirono. Gli sembrava assurdo che dopo tutti questi anni bastassero delle illustrazioni a riportare a galla emozioni che ormai sembravano lontane anni luce, eppure era esattamente quello che stava succedendo. Riposizionò il libro insieme agli altri regali, nascose le due pagine tagliate tra i suoi libri e tornò a letto, dove la moglie e la figlia già dormivano serene.

 

Quando era piccolo i regali di Natale erano rari e preziosi. Ogni bambino, in casa sua, ne riceveva soltanto uno, ma di solito era sufficiente a renderlo felice. Uno dei regali più graditi, per lui, era stato un libro di fiabe simile a quello che Lisa aveva appena ricevuto. Lo aveva sfogliato mille volte, letto e riletto fino ad impararlo a memoria, aveva osservato le illustrazioni una ad una tanto da imprimerle in maniera indelebile nella sua memoria, dove si trovavano ancora, intatte. Ogni tanto, la sera, pregava la nonna di leggere le fiabe a voce alta per lui.

“Giulio, ma tu sai leggere!” obiettava la nonna.

“E’ vero, nonna, ma tu le sai leggere meglio!”rispondeva lui.

E così la nonna leggeva, con una voce che a Giulio sembrava così dolce da rendere allegre anche le fiabe tristi. Poi, una sera, all’improvviso, la nonna se ne andò per sempre. Giulio sfogliò di nuovo il libro di fiabe, ma lo trovò insolitamente freddo e vuoto. Preso da una rabbia cieca e ingovernabile fuggì nel bosco vicino a casa e sotto un grande albero strappò le pagine della fiaba che da sempre gli era sembrata la più triste e che la voce della nonna non avrebbe più potuto rendere piacevole. Poi pianse a lungo e verso sera, ancora sconvolto, tornò a casa.

 

Era la vigilia di Natale. Grossi fiocchi di neve cadevano sulla gente che si affrettava per gli ultimi acquisti nei negozi sfarzosamente illuminati.

Una povera bambina cercava di vendere alcune scatole di fiammiferi all’angolo di una strada. Ma nessuno le prestava attenzione. “Come sono stanca!” sospirava. “Ma non posso tornare a casa senza soldi.”

E proseguiva: “Il mio patrigno mi picchierebbe, dato che non ci sono più né la mia mamma né la mia nonnina a proteggermi!”

Per un attimo rimase incantata davanti alla vetrina di una rosticceria ad ammirare quei piatti prelibati e fumanti, ma un commesso la scacciò in malo modo.

Poco oltre un signore e una ragazzina avvolta in un caldo mantello rosso salirono in una carrozza senza degnarla di uno sguardo.

 

“Perché ti sei fermato, papà?” Chiese Lisa, volgendo i suoi occhioni color nocciola verso la faccia di Giulio.

“Non mi sono fermato, ho solo fatto una pausa.” Rispose Giulio “Ti piace la fiaba?”

“Si” Disse Lisa “continua a leggere, però…”

 

La bambina cercò rifugio in un vicolo, ma anche lì il freddo era terribile. “Se accendessi qualche fiammifero, forse mi scalderei un po'” pensò. Appena accesa, la fiammella si allargò e apparve una grossa stufa che emanava un bel calduccio. Ma come il fiammifero si spense, la stufa sparì e il freddo tornò, più acuto di prima.

“Era solo un bel sogno… Ma… se riprovassi? Forse la visione tornerebbe.” Alla fiammella del fiammifero questa volta apparve una stanza con una magnifica tavola su cui erano disposti i cibi più caldi e gustosi e i dolci più invitanti.

Nella stanza c’erano anche un grande camino con un bel fuoco scoppiettante e comode poltrone che sembravano dire: “Siediti e riposati”. Ma la bimba non fece in tempo ad ammirare tutte quelle cose che la stanza sparì.

La piccola accese in fretta un altro fiammifero. La luce crebbe fino a mostrare uno stupendo albero di Natale, carico di candeline e di decorazioni scintillanti: ai suoi piedi, tantissimi doni avvolti in allegre carte colorate. La bambina tese le mani verso quella meraviglia, ma ancora una volta tutto scomparve.

 

“E ora? Papà…guarda… il libro finisce qui.”

“Eh, si” disse Giulio “nel negozio di libri deve essere passato un topo birichino che ha mangiato le ultime due pagine …..”

Il volto di Lisa si dipinse di delusione: “e ora come faccio a sapere come finisce la storia? Dobbiamo tornare al negozio! Devi chiedere a Babbo Natale dove l’ha comprato!”

“No” rispose Giulio sorridendo “non ce n’è bisogno, sei una bambina fortunata perché io conosco questa fiaba e so benissimo come finisce. Te la racconto io la fine” Lisa lo scrutò dubbiosa.

 

La piccola fiammiferaia stava per mettersi a piangere quando vide una bella signora con un bambino per mano andarle incontro.

“Ciao piccola” disse la bella signora “perché sei qui al freddo da sola?”

 “Vendo fiammiferi, ma per scaldarmi li ho accesi quasi tutti; tornerò a casa senza soldi e il mio patrigno mi picchierà”.

Gli occhi della signora si riempirono di dolcezza. “Io ho un’altra idea: vuoi venire a passare il Natale da noi? Sono giorni e giorni che ti guardo e ho deciso che, se vorrai, la nostra casa sarà la tua da ora in poi. Avevo una bambina come te, ma una brutta malattia se l’è portata via. Vorrei che prendessi il suo posto. Ti va?”

La piccola fiammiferaia, incredula, rispose di sì. Quello fu per lei il primo di molti Natali felici, passati insieme alla sua nuova famiglia.

 

Lisa sembrava soddisfatta: “Scrivila, papà, la fine della storia, così la attacchiamo sull’ultima pagina del libro e avrò la fiaba completa.”

“SìI, mi sembra una buona idea, piccola, lo farò. Ora però, a letto!”

Lisa si incamminò obbediente verso la camera. Giulio cercò tra i suoi libri e, appoggiato alla finestra, solo con se stesso, volle leggere il vero finale.

 

Desolata, la piccola fiammiferaia alzò lo sguardo al cielo e vide la scia d’argento di una stella cadente. “Qualcuno sta per salire in cielo” si disse. “Me lo raccontava la mia nonnina: se una stella vien giù, un’anima sale su…”

“Oh nonna, come vorrei che tu fossi qui con me!” E accese un altro fiammifero. Nella luce allora le apparve una vecchietta. “Oh, nonnina, finalmente! Ma aspetta, non sparire anche tu questa volta, ti prego!” La bambina si mise ad accendere tanti altri fiammiferi e la figura della nonna si mostrò bella e grande, avanzando verso la nipotina a braccia tese.

La piccola si buttò tra quelle braccia e ad un tratto non ebbe più freddo: la nonna la strinse a sé e la portò in cielo. La mattina dopo, all’angolo della via, i passanti trovarono il corpo assiderato della piccola fiammiferaia: intorno aveva un po’ di fiammiferi bruciati, ma sul volto le splendeva ancora un sorriso di immensa felicità.

 

Giulio ripensò a quello che aveva fatto e non sentì neanche un’ombra di pentimento. Aveva risparmiato a sua figlia tristi pensieri sulla vita e sulla morte che avrebbe avuto tutto il tempo di elaborare crescendo. Per adesso, meritava di essere esente dalla sofferenza. Non era questo il modo migliore di augurarle buon Natale?

 Image credits: INDIRE

 

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Beatrix

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Anche quest’anno è Natale, Sapìa – 2

Seconda Parte.

Qui la Prima Parte.

Da molti anni il commissario Sapìa trascorreva la sera del 24 dicembre in Questura.

Non era vittima di un’imposizione vessatoria dei superiori e, tantomeno, si sacrificava per compiacere i colleghi, semplicemente trovava piacevole svolgere quel servizio, considerato dall’universo mondo tanto disagiato da meritare un sostanzioso compenso extra.

Quando Sapìa, volenteroso Vicecommissario in carica solo da cinque mesi, per la prima volta si era ritrovato di turno nella notte di Natale, aveva accettato di buon grado la corvè: era un neoassunto e doveva concedere ai colleghi più anziani la possibilità di trascorrere le feste in famiglia, una volta tanto. Poi, però, con grande sorpresa, aveva scoperto che passare in Ufficio la Vigilia non solo non era affatto sgradevole ma, da un punto di vista sociale, veniva considerato un comportamento legittimo, se non addirittura lodevole. Mentre le ‘persone normali’ precipitavano nel caos delle riunioni di famiglia abbuffandosi fino alla nausea di tartine in attesa del cenone, un servitore dello Stato in servizio poteva sottrarsi all’obbligo di recitare la pantomima buonista davanti all’albero di Natale senza scandalizzare il parentado o meritarsi l’appellativo di misantropo.

Così, in seguito, Sapìa aveva chiesto di svolgere volontariamente il turno natalizio: se tutto rimaneva tranquillo in città, trascorreva una Vigilia silenziosa, sobria, rilassante…e senza postumi digestivi: quella sì era davvero una Notte Santa!

La moglie, dopo la terza assenza consecutiva, aveva capito che il marito non era perseguitato da superiori malvagi e si era rassegnata all’idea di non averlo a cena per l’occasione. Il Bambinello sarebbe nato anche senza di lui.

Già nei primi mesi di fidanzamento aveva notato che il suo Italo non si comportava come gli altri innamorati: era introverso, riservato e pieno idiosincrasie però, con tutte le sue stranezze, non superava mai il limite della convenienza e, nelle situazioni importanti, si dimostrava affidabile e capace.

Soppesati i pro e i contro, Edda aveva deciso di sposare ugualmente l’insolito spasimante illudendosi che il matrimonio fosse la lima giusta per smussare gli angoli di un carattere spigoloso. Naturalmente Sapìa non mutò affatto e, dopo la nascita di Annalisa, la moglie decise di tenerselo così com’era, facendo buona faccia a cattivo gioco.

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Rosanna Bogo

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Anche quest’anno è Natale, Sapìa

Prima Parte.

“Giacca, sciarpa, cappotto, cappello, guanti” mormorò tra sé il commissario Sapìa, avvicinandosi all’attaccapanni nel corridoio. Recitava quella giaculatoria per essere certo di indossare tutto il necessario, prima di chiudersi la porta di casa alle spalle.

Detestava perdere tempo in futilità come l’abbigliamento: la mattina, di solito, si preparava in fretta e, al momento di uscire, spesso dimenticava la giacca, la sciarpa oppure i guanti. La moglie sosteneva che, un giorno o l’altro, si sarebbe ritrovato in strada senza pantaloni.

Sapìa, citando la Bibbia, ribatteva che Dio aveva inventato i vestiti per punire il peccato originale: lui non pretendeva certo di passeggiare in costume adamitico ma, osservava, per tutelare il comune senso del pudore ed evitare il raffreddore potevano bastare un plaid oppure un perizoma… insomma, tra coprire le nudità e indossare un abito esisteva una bella differenza.

Vestirsi era, in sostanza, un’operazione di camuffamento sociale e richiedeva un grande impegno: faticose indagini nei cassetti e negli armadi, prove e riprove, valutazione degli accostamenti cromatici, reperimento di accessori coordinati. Così i panni volavano all’aria per ore finché l’immagine riflessa nello specchio non corrispondeva all’idea di sé che si voleva spacciare alla fiera della vanità, spesso abissalmente diversa dal dato reale.

Ovviamente anche Sapìa, in certe occasioni, si metteva in ghingheri: esequie, battesimi, matrimoni, incontri con il procuratore della Repubblica, testimonianze processuali o pellegrinaggi al superiore Ministero richiedevano un abbigliamento adeguato e solo un esibizionista si sarebbe presentato in certi posti vestito alla carlona. “Quando si sa che ‘è gradita la cravatta’ bisogna tirare fuori dall’armadio l’abito della domenica, senza fare storie”,  si diceva il commissario.

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Rosanna Bogo

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Dialogo di Natale

“Guarda chi si rivede!”

“Ti avevamo dato per disperso… torni dalla tundra?”

“Però non te la sei passata male, sembri lo stesso di trent’anni fa!”

“Bello sforzo, con l’anima di ferro che si ritrova!”

“Beh, amici, vedo che non siete cambiati neanche voi… i soliti burloni… però qualcuno della vecchia compagnia manca, o mi sbaglio?”

“Hai ragione, purtroppo. Ma perché guastare questa bella occasione parlando di chi è finito nella spazzatura… tutto passa… neanche noi che non siamo vivi possiamo aspirare all’eternità.”

“Però passiamo di generazione in generazione, se ci trattano con un po’ di garbo.”

“L’Arrotino ha ragione – disse il Cammello – dipende da come veniamo conservati. Io lo posso ben dire perché sono il più anziano, ricordo ancora il Natale del 1946…”

“Risparmiaci la tua storia – lo interruppe il Puntale – la sappiamo tutti!”

“Magari l’Albero finto, dopo trent’anni, non la ricorda più – proseguì imperturbabile il Cammello – dunque, ero esposto nella vetrina di una cartoleria nel vicolo della Stufa e il bisnonno dei nostri ospiti entrò per comprare le statuine del presepe: voleva fare una sorpresa ai figli. Un bel regalo perché, nel dopoguerra, giravano pochi quattrini e quelli che c’erano servivano per mangiare e risuolare le scarpe. Il negoziante era un uomo generoso e mi diede in omaggio, con tre pecore. E sono ancora qui!”

“Sfido che ti tengono di conto! ormai sei un pezzo d’antiquariato: gesso dipinto a mano! – disse il Puntale – i miei predecessori di vetro erano altrettanto preziosi ma delicati e hanno avuto vita breve. Per fortuna io sono infrangibile!”

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Rosanna Bogo

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errebi, Il Natale di Idik

Un Natale diverso, lontano nel tempo e nello spazio.

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admin

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Renzino e l’albero di Natale

Renzino era stanco: faticava a seguire la mamma su e giù per le affollate vie del centro e si lasciava trascinare svogliatamente per una mano, come un peso morto.

La nonna, ogni tanto, si voltava per rimproverarlo: se non smetteva di piagnucolare, minacciava, avrebbe scritto una letterina a Babbo Natale per raccontare quanto era capriccioso. Così, invece dei regali, sotto l’albero avrebbe trovato il carbone.

Renzino ignorava cosa fosse il carbone comunque, se si portava ai bambini cattivi, non doveva trattarsi di un giocattolo: era piccolo ma abbastanza sveglio da capire che gli conveniva comportarsi bene e, per un po’, si zittiva, asciugandosi con la mano guantata le lacrime e il moccio; dopo qualche minuto, però, riprendeva a lamentarsi: non faceva le bizze, soffriva davvero!

Da tre ore arrancava dietro alle due donne, con le sue gambette corte, schiacciato tra adulti incappottati, carrozzine, pacchi, cani, borse borchiate e ombrelli.

I passanti, agitati come onde in un mare tempestoso, sembravano tutti impazienti di arrivare a una meta. Anche la mamma e la nonna camminavano in fretta però, di tanto in tanto, si fermavano bruscamente davanti a una vetrina e parlottavano… a volte decidevano di entrare nel negozio. Renzino le seguiva a malincuore in quel pigia pigia: per i grandi era facile affrontare la ressa dei clienti, il caldo, la confusione, avevano la testa in alto e la forza per farsi largo! a livello di bambino, invece, mancavano spazio e aria.

Verso le sette la nonna e la mamma decisero di rincasare. Non avevano esaurito le energie e, tantomeno, la lista dei regali, semplicemente erano cariche di pacchi e pacchetti oltre il limite di guardia.

Si incamminarono verso il parcheggio. Quando passarono davanti alla piazza in fondo al corso, Renzino costrinse la mamma a fare una deviazione. Voleva controllare, sbirciando tra le gambe dei passanti, se nella piazza c’era l’abete alto come un palazzo che aveva visto l’anno prima.

Ricordava che era tutto scintillante di luci, decorato con un’infinità di palle colorate e davvero gigantesco, soprattutto per lui che non arrivava a un metro. Era rimasto a bocca aperta. A casa aveva visto la mamma e il babbo che addobbavano il piccolo abete in salotto, ma chi mai aveva messo le lucine e i fili dorati fin lassù, quasi in cielo?

I genitori gli avevano spiegato che, nottetempo, uno gnomo al servizio di Babbo Natale aveva annaffiato il centro della piazza e l’albero, come un fungo, era sbucato fuori: il folletto, saltando di ramo in ramo, aveva appeso le decorazioni e, all’alba, era tornato al Polo Nord per costruire altri giocattoli da portare ai bambini buoni.

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Rosanna Bogo

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Scrivolo

i racconti del nano grafomane

http://www.scrivolo.it

Segnalibri Sant’Agostino

Segnalibri Agostino

Il 28 Agosto la Chiesa Cattolica festeggia Sant’Agostino. Un’occasione, per noi, per ricordare il grande lettore (e scrittore!), morto 1583 anni fa.

Da stampare fronte e retro e  ritagliare: [download id=”52″]

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Dr J. Iccapot