VIII. Il corpo docente
La conversazione con Annalisa aveva suggerito al Commissario di confrontare il Piano di Studi trovato da Morganti con i registri d’esame.
In un computer forse si poteva inserire qualunque cosa, come sosteneva Magliana, ma un documento cartaceo ufficiale non si manometteva facilmente. E poi un libretto tenuto nascosto alla sorella e rubato da un assassino doveva avere per forza qualcosa di speciale.
Anche se era curioso di constatare de visu la fondatezza di quei sospetti, Sapìa decise di affidare la verifica al collega:la Segreteria di Lettere ela Segreteria di Giurisprudenza si affacciavano sullo stesso chiostro e non intendeva varcare un altro portone della memoria. Non nello spazio di due giorni.
“Alle undici devo incontrare il professor Diadori – si giustificò con se stesso – non posso lasciare l’ufficio.”
In attesa del suo ospite decise di riordinare la scrivania. Il duplice rovesciamento dei documenti di Magliana aveva causato un po’ di caos ed occorreva ricostituire alcuni monticelli scompaginati. Raccolse un post-it caduto a terra: conteneva i dati forniti da Magliana su Massimo Covi, l’ospite presente nella casa di via del Lavatoio la sera del delitto. “Studente di Informatica – mormorò tra sé il Commissario – infastidito dalla perquisizione, non collaborativo, scarsamente turbato dalla disgrazia.”
Il giovanotto sapeva trattare con i computer ma con gli ispettori non se la cavava molto bene: forse era il caso di verificare eventuali rapporti del Covi con il Centro Elettronico dell’Università. Magliana raccontava storie mirabolanti sulle imprese truffaldine dei così detti hackers: non per nulla venivano chiamati pirati informatici.
Diadori arrivò in perfetto orario. Magliana aveva faticato per scovarlo perché, giunto ormai a un passo dalla pensione, non si recava più in Facoltà. Era un tipo allampanato, con folti capelli bianchi e spessi occhiali, prossimo alla settantina: Sapìa pensò che aveva una complessione da professore di Storia, per insegnare Latino era più adeguato un tipo mediterraneo, basso, pelato e rubizzo.
Il professore, benché invitato ad accomodarsi, rimase in punta di sedia come se già dovesse alzarsi per uscire: si dichiarava dispiaciuto per la morte della ragazza ma sosteneva di non averla mai incontrata.
“Non era una mia allieva: sono venuto perché l’Ispettore ha insistito ma si tratta di una perdita di tempo, per me e per lei, Commissario. Ho visto la foto sul giornale e posso affermare con certezza che non conoscevo la defunta.”
“Dai documenti in nostro possesso risulta che la signorina Losanto aveva sostenuto un esame di latino e non mi risulta ci siano altre cattedre, oltre la sua, in Facoltà” obiettò Sapìa.
“Gli studenti possono scegliere in alternativa un insegnamento di filologia” replico Diadori, senza recedere di un palmo.
“Vediamo di trovare un punto di partenza comune, Professore – ribadì il Commissario spazientito – nel Piano di Studi che ho qui davanti leggo che, due anni fa,la Losantoha superato l’esame di Letteratura Latina con la votazione di trenta/trentesimi. Vuole controllare di persona?”
“E’ davvero strano… non sono affatto di manica larga e mi ricorderei di una ragazza così preparata, soprattutto se non era mai venuta a lezione… potrebbe mostrami qualche altra foto di quella poveretta?”
Sapìa annuì. Magliana aveva trovato nella stanza della vittima un album fotografico: immagini di Stefania in compagnia del fidanzato scattate nel corso degli ultimi tre, quattro anni. In effetti la ragazza, ogni tanto, cambiava colore e taglio di capelli… non aveva sempre lo stesso aspetto.
Diadori scrutò a lungo le immagini poi, indicando una foto in cuila Losantoportava un caschetto biondo, esclamò:
“Eccola! questa ragazza si è presentata due o tre volte all’esame scritto, ma non ha mai superato la prova. Altro che Trenta!”
“Quando?”
“Più o meno due anni fa, sono sicuro. Sul giornale però sembrava un’altra persona”
Il professore portava lenti spesse come fondi di bicchiere ma parlava con tono sicuro: era certo di quello che diceva. Sapìa comprese di avere trovato la prima impronta del coniglio.
“Le posso dire il codice del mio esame, per eventuali controlli” aggiunse Diadori.
Il Commissario prese nota e ringraziò.
Magliana vagava da ore tra Segreterie di Facoltà, Segreterie di Presidenza, Segreterie di Dipartimento: cominciava a sentirsi sperso come in un deserto e la telefonata di Sapìa lo rallegrò, se non altro ora aveva una pista precisa da seguire, doveva cercare il nome della vittima nel registro di 78200, un gioco da ragazzi!
Tornò in ufficio contento come il vincitore di una riffa: poteva confermare l’intuizione di Sapìa.
“Così abbiamo trovato l’anello che non tiene nella vita perfetta della signorina Stefania Losanto – osservò il Commissario – un esame fantasma.”
“Però mi sembra strano – obiettò Magliana – come si fa a mettere in piedi un imbroglio del genere?”
“Non lo chieda a me, è lei l’esperto di pirateria informatica! E poi non ha mai sentito parlare di dottori o dentisti con lauree fasulle?” chiese Sapìa.
“Certo, ma sono falsi – osservò Magliana – si può taroccare anche un passaporto, figuriamoci una pergamena! qui però si tratta di costruire una carriera di sana pianta, inserire dati immaginari nel computer dell’Ateneo senza farsi scoprire: un gioco complicato.”
“Magari esiste una falla nel sistema informatico, una carenza di controlli incrociati – osservò Sapìa – a volte capita che un vecchietto continui a riscuotere la pensione dall’oltretomba!”
“Il centro informatico ha decine di addetti in grado di accedere al programma – disse Magliana – prima di muovere accuse dovremmo escludere un intervento esterno, un furto di password o un’intrusione … le intrusioni sono sempre possibili, neppure i sistemi delle banche sono del tutto blindati, figuriamoci quelli di un ufficio statale!”
“Pensa per caso a complesse perizie affidate alla polizia postale o a ditte specializzate? – chiese seccamente Sapìa – in questo caso la informo che mi è già passata la voglia di seguire la pista. Propongo di esaminare la situazione economica della ragazza: forse era vittima degli strozzini.”
“Strozzini? – esclamò Magliana, incuriosito dalla nuova ipotesi che Sapìa aveva estratto dal cilindro – un ‘cravattaro’ che presta denaro a una studentessa senza lavoro, senza proprietà e senza una famiglia benestante alle spalle?”
“Però una ragazza ha sempre qualcosa da vendere.” disse lapidario il Commissario.
Magliana sembrò per un attimo assorto in una riflessione, poi riprese l’espressione gioviale di sempre.
“Meno male che la lampadina, alla fine, si è accesa… fiat lux!” pensò Sapìa.
L’indomani era in programma una riunione: Magliana, Morganti e Sapìa dovevano fare il punto della situazione.
Magliana volle a tutti i costi invitare anche il collega Strambi che aveva gentilmente controllato i tabulati della facoltà e, di sicuro, era disponibile a svolgere ancora qualche piccola indagine, nei ritagli di tempo.
“Con i ritagli di Strambi mi potrei fare un cappotto” commentò acido Sapìa, infastidito all’idea di dover lavorare con una persone che conosceva superficialmente.
Strambi soffriva di una leggera mania di persecuzione: si sentiva disprezzato ed emarginato dai colleghi, accolse quindi con entusiasmo la proposta di Magliana. Chiuso nel suo stanzino con le scartoffie di un delitto vecchio di decenni aveva la sensazione di essere inutile e solo.
“La Scientificanon ha scoperto nulla di rilevante e noi non abbiamo trovato altri testimoni o scoperto moventi plausibili” disse Sapìa, posando uno sull’altro i fascicoli tecnici.
“Però ci sono due piste” osservò Morganti.
“Certo – replicò Sapìa – una porta al Centro informatico dell’Ateneo, quindi in un ginepraio da cui non caveremmo mai le gambe, l’altra a un giro di prestiti. Dica lei, ispettore, quale dobbiamo approfondire, basta che non servano tempo, mezzi e autorizzazioni perché sono tutte cose che non abbiamo.”
“Potremmo cercare di arrivare al bandolo della matassa per un’altra via – propose Morganti – la scorciatoia della Losanto forse veniva utilizzata anche da altri studenti: se troviamo uno di questi piccoli bari d’ateneo potremmo fargli confessare il nome di chi ha messo in piedi il sistema. Magari è lui l’assassino.”
“Ma perché un truffatore dovrebbe uccidere la gallina dalle uova d’oro? – chiese Strambi.
“Se è per questo neppure all’usuraio conviene strozzare il pollo che deve spennare” aggiunse Magliana.
“Bisogna sempre far starnazzare il pollame per l’aia – disse Sapìa – magari la ragazza non aveva pagato la rata del debito e lo strozzino ha stretto un po’ troppo le mani. Però chi ha bisogno di guadagnare quattrini facili tende a cacciarsi nei guai…prostituzione, spaccio… trafficanti e papponi non hanno certo più scrupoli di un usuraio.”
“Io potrei controllare la situazione economica della vittima” propose Morganti.
“Allora l’Università tocca a lei, dottore! – aggiunse Sapìa, rivolgendosi a Magliana – a lei l’onore di aprire gli armadi dell’ateneo e spolverare i relativi scheletri! tanto ormai è diventato un esperto in Segreterie e registri.”
“Io vorrei occuparmi degli usurai – disse Strambi – ho trovato qualche notizia nel fascicolo che sto leggendo.”
“Bene – commentò Sapìa, cercando di ricordare l’informazione scovata dal giovane Oscar nel fascicolo del delitto in villa – vedo che lei mira subito al sodo!”
“Da che parte si comincia? – chiese Magliana – non posso controllare tutti gli iscritti dell’ateneo!”
“Lei da dove comincerebbe? – chiese Sapìa ironico – le ricordo che il caso è suo!”
Magliana, alla ricerca di un appiglio, guardò la scrivania del collega, cosparsa di foglietti, e subito fu attratto dal nutrito monticello dei post-it dedicati alle inquiline di via del Lavatoio.
“Partirei dalle ragazze che vivevano nella stessa casa della vittima – disse trionfante – Sa a quale corso di laurea sono iscritte, Ispettore?”
Sapìa si stupì della tempestività della risposta: di solito il ciuccio non reagiva con tanta prontezza, specie se doveva saltare un ostacolo imprevisto.
“Giurisprudenza, tutte e tre” rispose Morganti, senza neppure consultare i suoi appunti.
“Allora, visto che il luogo dell’omicidio è abitualmente frequentato dalle tre coinquiline, amiche di un esperto di informatica, spostiamo i loro post-it accanto alla montagnola della Facoltà di Legge – disse il Commissario – Quel pomeriggio però le ragazze non si trovavano lì, vero? E neppure sapevano cosa era accaduto alla Losanto.”
“Quando mi sono presentato, alle nove di sera – precisò Morganti – sono cascate dalle nuvole. Avevano trascorso tutto il pomeriggio a studiare. E con i telefonini spenti.”
“Una storiella poco convincente: devo ancora conoscere una ventenne che non risponde al telefonino per un intero pomeriggio, giusto la nostra vittima” commentò Sapìa. Perfino Annalisa studiava con quell’infernale marchingegno in bella vista sul tavolo e scattava ad ogni minimo rumore come se fosse la tromba dell’adunata.
“A proposito di telefonate – disse Morganti – dai tabulati della Losanto non emerge nessuna novità: la lista delle utenze che ha contattato negli ultimi giorni di vita contiene i soliti nomi: i familiari, le ragazze di via del Lavatoio, il fidanzato.”
“Peccato, i telefonini a volte risolvono un caso. Però non siamo in alto mare – osservò Magliana, indicando i post-it sparsi sulla sua scrivania – bisogna solo trovare un collegamento tra tutte queste collinette.”
“Lei dovrebbe farsi dei monticelli per conto suo… magari potremmo confrontare le rispettive scrivanie” osservò Sapìa infastidito. Non sopportava di essere scimmiottato.
“Per me tutto punta versola Facoltàdi Giurisprudenza – disse Magliana – vale la pena di concentrarsi sulle persone sicuramente presenti nell’edificio più o meno all’ora in cui è stato commesso il delitto.”
“Decida lei, dottore” ribadì Sapìa.
“Allora convoco i testimoni che non abbiamo ancora sentito, gli amici del testimone in carrozzella” disse Magliana, un po’ intimidito dalla sua stessa intraprendenza.
“Non dimentichi gli studenti del professor Cantoni – aggiunse Sapìa – Anzi, se non le dispiace, vorrei cominciare proprio dal Cantoni. Però mi interessano anche i legami sentimentali, sono della vecchia guardia… cercherò di combinare qualche coppia di cuori: dopo tutto abbiamo a disposizione un bel numero di Romei e Giuliette!”
Terminata la riunione i partecipanti più giovani uscirono, puntando ciascuno al proprio obiettivo. Il Commissario invece non si mosse dalla sua scrivania e, dopo qualche minuto di riflessione, iniziò a spostare i post-it sparsi sulla scrivania. Cercava l’ispirazione, una distribuzione in grado di evidenziare l’indizio chiave, il fil rouge che continuava a sfuggirgli.
Piuttosto che rimanere con le mani in mano in attesa degli eventi, Sapìa preferiva battere a tappeto tutte le piste, senza una precisa direzione, però la pesca a strascico gli sembrava una strategia d’indagine troppo farraginosa: sollevava un polverone che, a volte, seppelliva anche l’essenziale. E l’archiviazione era sempre in agguato.
Così, quando non sapeva da che parte rifarsi, prendeva in mano tutti i fascicolo e rileggeva le carte, una ad una, come se non le avesse mai viste. Sperava così di scoprire uno spiraglio di luce filtrato attraverso la rete dei fatti, apparentemente impenetrabile.
Cominciò a sfogliare distrattamente la relazione della Scientifica: le impronte erano confuse, mancavano tracce biologiche significative, l’assassino non aveva lasciato segni materiali. La solita musica.
Guardò di nuovo i documenti trovati nella stanza della ragazza: mancavano l’ultima rata e la tassa di laurea. Passò quindi all’esame delle foto: aggiungevano poco agli scatti telefonici di Magliana. Notò però che il contorno del corpo tracciato sul pavimento, dopo che la povera Stefania era stata portata via, conteneva sottili impronte di copertone, appena percettibili: evidentemente tracce lasciate dalla sedia a rotelle del testimone.
Rosanna Bogo