L’indomani l’allievo Danai trascorse sei ore nella sala saldature e già fremeva dal desiderio di cimentarsi in quel genere di attività. Certo non era come saldare tubi idraulici, però poteva riuscirci, ne era certo.
Il pomeriggio, sdraiato sul divano, cercò nel palmare l’elenco dei funerali previsti per il giorno seguente. Trovò facilmente l’indirizzo dove si sarebbero svolte le esequie di Elena Sandris. L’indomani, giorno di riposo, salì in macchina e disse ad Alfred dove recarsi. Il computer ovviamente pretese di sapere il motivo di quell’insolito viaggio fuori città.
“Andiamo al funerale di una ragazza che ho conosciuto al Centro, è morta in un incidente d’auto.”
La notizia commosse Alfred, producendo il solito effetto Larsen, In certo senso anche lui era “morto” in uno scontro.
Alla cerimonia era presente una piccola folla: i bambini dell’asilo, le madri, una sorella della vittima. Daug trovò strano che a quella famiglia fosse stato concesso un doppio permesso di procreazione, poi però capì il motivo: la ragazza, Elda, era gemella della defunta.
Daug le fece le condoglianze presentandosi come un conoscente di Elena. Elda era troppo sconvolta per fare domande e ringraziò il giovane per la sua partecipazione alle esequie.
Mentre seguiva il piccolo corteo diretto al cimitero Daug notò, quasi in prima fila dietro la bara, Ector. Evidentemente non si fidava di lui. Gli si avvicinò con aria minacciosa, era davvero arrabbiato.
“Si calmi, giovanotto – bisbigliò Ector – mi trovo qui perché sono stato io a convincere la signorina Sandris ad accettare il nuovo lavoro. La mia assenza sarebbe apparsa strana. E poi, mi creda, ho un cuore anch’io e non immaginavo che potesse accadere una disgrazia simile.”
Al ritorno Ector chiese a Daug un passaggio in auto. Era venuto con un mezzo pubblico e non aveva voglia di aspettare mezz’ora alla fermata. Alfred non disse una parola per tutto il viaggio. Daug si mostrò meno scontroso, dopo tutto il correttore aveva giustificato la sua presenza.
L’uomo si fece portare a casa, una villetta in un quartiere borghese, e invitò Daug a prendere un caffè. La moglie del correttore era una bellezza sfiorita, sembrava quasi più anziana di Ector. Daug la ringraziò per la torta e accettò volentieri dei biscotti alle mandorle appena sfornati. Quando seppe che tornavano dal funerale di una giovane conoscente si commosse.
“Anche noi, sa, signor Danai, avevamo avuto un permesso di procreazione – disse la donna con le lacrime agli occhi – ma il nostro bambino è vissuto solo un anno. Aveva una malformazione genetica che all’epoca non si diagnosticava in gravidanza. Chi troppo e chi niente, è la vita. C’è chi invecchia e chi muore a vent’anni o in culla.”
“E’ inutile pensare al passato Elke, tanto non possiamo cambiarlo – disse il marito – Era destino che fosse così.”
Daug uscì da quella casa ancora più intristito. Anche l’uomo in doppio petto blu aveva conosciuto la vera sofferenza.
Il giorno seguente Daug trascorse sei ore nel reparto saldature e venne autorizzato a compiere le sue prime prove. Non era affatto facile, occorreva tenere l’occhio incollato al microscopio e manovrare un braccio elettronico di precisione, tuttavia Dot, a fine giornata, sembrò soddisfatto del suo lavoro.
“Niente male, niente male per un novellino” disse compiaciuto.
“Grazie Capo, mi sono quasi divertito, anche se non ho ben compreso cosa stavo facendo”
“Lunedì, alla prima lezione di teoria avrai tutte le spiegazioni del caso. Hasta la vista”
Anche Dot, pensò Daug, dava i numeri come il vecchio Alfred. Questa volta ritrovò da solo l’uscita, ormai il Centro era per lui un luogo familiare.
Durante il viaggio di ritorno Alfred sembrava stranamente poco interessato al nuovo lavoro del suo padrone. Parlava del tempo, del livello dell’idrogeno nel serbatoio, del traffico in aumento con tono falsamente svagato”
“Senti, rotolo di rame senza capo ne coda, non prendermi in giro. Tu sai qualcosa, magari hai ascoltato i discorsi degli altri computer, nel garage sotterraneo, e ora mi nascondi la verità. Ti credevo un amico… con il mio primo acconto di punti giuro che mi compro un modello di guidatore con voce femminile e ti butto nel riciclatore”
“Come sei sospettoso! Cosa vuoi che sappia, io sono il vecchio Alfred, driver di un apprendista di ultimo livello, nessuno mi rivolge la parola lì sotto, lo giuro”
“E come Soul? Anche come Soul tutti ti ignorano?”
“Beh, lì non ci sono macchine vecchie come il mio amico Carlos. Nessuno mi riconosce ma, con qualche modifica, saldando alcuni ponti, forse potrei sviluppare due personalità, come si vede in certi film, sarei Alfred e Soul nello stesso tempo. Oppure avere una doppia vita come un agente segreto. E’ sempre stato il mio sogno diventare come 007, James Bond licenza di uccidere”.
“Non so di che parli ma credo che il tuo progetto non sia legale e neppure facile da mettere in pratica…”
“Sei proprio noioso, la via della legge è tortuosa mentre il diritto, per definizione deve essere dritto. Se potessi regredire allo stadio di Soul ti stupirei. Il mio padrone mi aveva progettato con innumerevoli funzioni, non ero solo un computer-auto. E la sera mi portava in casa e mi usava come laptop. Bei tempi… forse un giorno anche tu diventerai un genio dell’elettronica, però quel giorno io sarò già demolito da un pezzo”
“Guarda che scherzavo, non ho nessuna intenzione di comprare un nuovo car-supporter, lo sai che ti voglio bene, però vorrei scoprire cosa vogliono da me quelli del Centro, per capire se è il caso di tagliare la corda o resistere, e credo che il garage sia un buon punto di osservazione”
“Fuggire è inutile, OMNIA ti localizzerebbe ovunque. Però, ascoltando quello che si dicono i miei colleghi nelle belle auto dei capi sono sicuro che al Cento sono veramente a corto di geni, per questo rastrellano anche i “dispersi”, quelli con il supercervello atrofizzato che un tempo venivano lasciati sguazzare felici nel loro pantano”
“Il mio cervello non è affatto atrofizzato! In due giorni ho già imparato a fare le microsaldature e lunedì seguirò la prima lezione di teoria. Vedrai che se mi decido a studiare questa volta non fallirò!”
“Nessuno sarebbe più contento di me se davvero tu diventassi un genio, magari potresti persino resuscitare Soul…vorrei tanto tornare il computer di un tempo.”
Da quel giorno la pigrizia abbandonò Daug: in poche settimane apprese le basi matematiche e fisiche dell’elettronica e cominciò a chiedere in prestito a Dot i grossi manuali che il suo istruttore conservava in una libreria nel laboratorio di refurbishing, una bizzarria perché ormai tutto quanto serviva sapere era leggibile in rete.
“Ti piacciono i libri?”
“Sì – ammise timidamente Daug – il contatto con la carta mi ricorda la paglia della stalla, il legno degli alberi e mi fa venire voglia di studiare”
“Beh, allora usali pure senza riguardo perché stanno lì solo ad impolverarsi”
Daug lo prese in parola, dopo un paio di giorni restituiva regolarmente i volumi ma tutti spiegazzati, pieni di appunti e post-it colorati. La sua mente stava diventando sempre più ricettiva: memorizzava con facilità schemi o serie di operazioni, ma nel risolvere i problemi si affidava soprattutto all’intuito: le risposte gli si presentavano spontaneamente alla mente, come se seguissero segrete scorciatoie nascoste nel suo cervello.
Continua….
Rosanna Bogo
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