Quella mattina Daug si sentiva come se davvero fosse sul punto di entrare nelle fauci della Betta. Chi sa se se la sarebbe cavata…Si lavò e sbarbò accuratamente, con lo spazzolino strofinò a fondo le unghie e mise persino il gel nei capelli. Vestiti buoni non ne aveva e indossò quello, un po’ lugubre, che teneva in serbo per i funerali.
Alle sette e mezzo salì in macchina:
“Portami al Centro di Formazione Hardware, Alfred, ma senza fretta. Sono in anticipo.”
“Sei caduto dal letto?” replicò ironico Alfred, come se la nuova destinazione non lo stupisse.
“Sarai contento di non essere più il car-supporter di un idraulico.”
“Io non ho mai preteso di cambiare la tua vita, dopo tutto è tua, però sono sicuro che scoprirai che quello dei computer è un mondo affascinante. Certo bighellonare sulle impalcature mentre un robot lavora per te è più comodo, ma ogni uomo deve ricoprire il posto che gli spetta nella società. E questo OMNIA lo sa.”
“E piantala con questa OMNIA! cos’è, un computer di cui eri innamorato da giovane?”
“OMNIA è tutto. Quando sei entrato nella prima classe non ti hanno forse sottoposto a dei test? Ebbene anche quello era OMNIA.”
“Vorresti dire che quei test, fatti a sette anni, hanno qualcosa a che vedere con le proposte del correttore? Ma via! io a scuola andavo male, malissimo, gli insegnanti stessi mi hanno suggerito di diventare idraulico o elettricista: nessuno ha mai tentato di farmi cambiare strada e comunque, in alternativa, avrei scelto di fare il contadino, come mio padre e mio nonno. Viviamo in un mondo in cui le macchine hanno liberato l’uomo dalla maledizione del lavoro, tutti abbiamo tempo libero a volontà e tre mesi di vacanze spesate, possiamo decidere il nostro destino e la nostra professione. Certo dobbiamo rispettare qualche regola ragionevole, in questo il signor Ector non ha tutti i torti: mangiare e bere moderatamente, fare un po’ di sport, guidare con prudenza, cercare di elevare il nostro livello culturale. Posso persino ammettere che migliorarmi non sarebbe una cattiva idea, so di essere un ignorante. Però cambiare comporta fatica e questo non mi piace, io sono nato pigro e senza ambizioni.”
“Il caro Ector per caso ti ha fatto bere o mangiare qualcosa di strano?” chiese serio Alfred.
“No, stai tranquillo, non mi hano drogato: queste cose le ho sentite ripetere per anni a scuola, ma io ho fatto sempre di testa mia e ora ne pago le conseguenze”
“Beh, almeno stai attento che la Betta non ti mangi” replicò Alfred.
“E che ne sai tu della Betta” disse Daug, stupito che all’improvviso tutti tirassero fuori quel vecchio mostro meccanico.
“OMNIA è come la Betta” replicò Alfred sibillino.
“Se non la pianti appena entro nel Centro di Formazione mi metto a gridare che voglio sapere cos’è OMNIA.”
“Per carità, non scherzare mai su questo argomento. Rischi davvero di finire al Correzionale! E non azzardarti mai a nominare OMNIA lì dentro. Però, se qualcuno ne parla, presta attenzione e vedrai che prima o poi riuscirai a capire cos’è, se i test che ti hanno fatto da bambino non erano sbagliati. Ah ecco il cancello del Centro, lo conosco bene. Il mio primo padrone ci veniva spesso. Un bel posto per vivere, a patto di rispettare le regole interne.”
In effetti il Centro era un imponente edificio a due piani, con grandi finestre e un magnifico parco recintato. L’ingresso era controllato da un corpo di guardia di robotcop. Appena la macchina di Daug si avvicinò all’entrata un computer verificò i dati e aprì il cancello.
“Ciao Soul” disse la voce del supporter che manovrava il pesante sbarramento scorrevole.
“Hasta la vista, Carlos” rispose Alfred, come se nulla fosse.
“Vi conoscete?”chiese Daug.
“Si, ma in un’altra vita. Lo sai che alcuni dei miei componenti sono rimasti invariati: un tempo il mio nome era Soul e Carlos mi ha riconosciuto. E’ un computer molto vecchio e, direi, poco aggiornato. Come Soul sono morto da un bel pezzo.”
In pochi secondi giunsero davanti all’edificio, Daug scese e un garage sotterraneo si aprì, ingoiando la sua macchina.
Il nuovo arrivato si avviò verso l’entrata con il cuore in gola. Quel posto insolito lo intimoriva. Intorno a lui si muovevano persone indaffarate, uomini e donne in camice bianco, che sembravano non notarlo, Nessuno gli rivolgeva la parola, un cenno di saluto o gli chiedeva chi fosse: finalmente fu avvicinato da una signora anziana con i capelli bianchi tagliati quasi a zero e un palmare in mano.
“Il signor Danai?” chiese la donna.
“Si, signora, mi hanno detto di presentarmi qui, alle otto” rispose prontamente Daug
“Certo, è atteso per la lezione di presentazione e la stavo aspettando già da qualche minuto.”
“Veramente sono in perfetto orario”
“Lo so, ma da noi essere in orario significa arrivare almeno dieci minuti prima. Mi segua, prego, da questa parte.”
Daug seguì la donna attraverso un dedalo di corridoi tutti uguali, fino ad una porta su cui era appeso un foglio con quattro nomi, tra cui il suo.
“Entri, avrà un incontro con il Professor Terios – disse la sua guida – Non faccia domande, mi raccomando, si limiti a rispondere, ma solo se interrogato. Auguri.”
Daug fu contento che almeno la vecchia non lo mandasse in bocca alla Betta.
Nell’aula erano già sedute in prima fila tre persone, due donne e un uomo. I posti liberi erano numerosi e Daug, come faceva un tempo a scuola, si accomodò dietro al gruppetto, in posizione riparata. La cattedra era vuota.
“Si metta accanto agli altri, prego” ordinò alle sue spalle una voce perentoria. Era il Professore Terios, appena entrato in aula.
“Si comincia male – pensò tra sé Daug – mi ha già classificato come lavativo…”
“Signori e Signore – disse il Professore – il mio compito è spiegarvi perché vi trovate qui. Direi intanto di presentarci: il mio nome è Terios e sono professore di Psicologia Formativa. Lei – disse indicando la prima ragazza a destra nella fila – si chiama Elena Sandris, insegna all’asilo di Plancos da quasi dieci anni e adora i bambini. Il signore che le siede accanto è Ales Berosi, lavora come barista, suona in un complessino di dilettanti e ama le compagnie chiassose, la terza allieva, Anna Frinis invece si esibisce in un locale come danzatrice del ventre e sorvolo per decenza su altre attività da lei svolte. Infine l’ultimo della fila è Daug Danai, ha scelto di fare l’idraulico solo perché è un mestiere poco impegnativo, la sua attività preferita in realtà è oziare e non nel senso latino di otium.
Dunque venite da esperienze del tutto diverse e, fino ad ora, avete condotto la vita che più vi piaceva. Dovete però sapere che, in base ai test predittivi che avete sostenuto nei primi anni di scuola, disponete di un quoziente intellettuale potenzialmente molto alto: in nome del diritto di scelta riconosciuto ad ogni individuo dal primo articolo della nostra Costituzione, avete liberamente seguito le vostre inclinazioni, ma ora è necessario che le doti straordinarie che la natura vi ha donato siano poste al servizio della collettività.
Di solito i soggetti forniti di intelligenza superiore si rendono conto da soli delle loro capacità e intraprendono spontaneamente carriere prestigiose ma, come voi dimostrate, le eccezioni non mancano. La cosa un tempo non creava problemi, oggi però i geni sono diventati rari e quindi dobbiamo recuperare anche i soggetti che non hanno sviluppato il loro potenziale. La legge, in questo caso, si deve piegare alla necessità. In breve i Q.I. elevati scarseggiano e non possiamo più permetterci di sprecare neppure un solo cervello superdotato. E dobbiamo intervenire entro i trenta anni, perché poi il riattivamento delle facoltà mentali diventa difficile.”
Daug si tranquillizzò, di certo si trattava di un errore di persona, lui era sicuro di non essere intelligente: magari aveva copiato il test di un altro bambino, a scuola lo faceva spesso. E poi persino il suo car-computer lo considerava uno stupido. Le insegnanti non facevano che rimproverarlo e ai corsi di formazione culturale era considerato un peso morto. Del resto le sole cose che contavano nella sua vita erano le partite di disco plutonico, la birra scolata con gli amici, le quattro chiacchiere che scambiava con Alfred e i pomeriggi trascorsi in mutande, sdraiato sul divano, a dormicchiare senza che un solo pensiero turbasse la sua tranquillità.
“Scusi – disse la signorina Frinis – io non posso restare, ho un impegno con il mio fidanzato e non devo farlo aspettare. Sa…è un tipo piuttosto manesco”
“E io, quando ho firmato quei fogli portati dal correttore, non avevo capito di cosa si trattava – aggiunse il barista – pensavo di dover gestire un fast food all’interno del Centro”
La maestra era forse la sola che aveva compreso a pieno il senso delle parole di Terios e piangeva come una fontana.
Daug, ormai al limite della sopportazione, sbottò:
“Insomma, passi per il fatto di dover cambiare lavoro e diventare aiutante di un riparatore hardware, tanto per me un lavoro vale l’altro, ma questa storia dell’intelligenza superiore proprio non la reggo, è una presa in giro. Evidentemente avete bisogno di qualche fesso che lavori per voi 24 ore alla settimana, ma almeno non ci raccontate la favoletta delle menti superiori sprecate: dobbiamo essere proprio dei geni cretini visto che non ci siamo accorti di essere tanto intelligenti. Mai sentito una stupidaggine più grossa”
Terios divenne di tutti i colori, si avvicinò a Daug e gli mollò uno sganassone potentissimo che lo fece cadere a terra.
“Come osi, come osi mettere in dubbio i risultati di OMNIA. So bene che quello che siete diventati non ha nulla a che fare con le vostre capacità: come persone appartenete alla categoria dei mediocri e dei falliti, questo è innegabile, il vostro cervello però è un bene prezioso che appartiene allo Stato e deve lavorare per la collettività. Chi si rifiuta, chi vuole buttare via questa ricchezza comune, merita il Correzionale! E la morte.”
I quattro allievi ammutolirono spaventati. La maestrina fu la sola ad avere il coraggio di chiedere la ripetizione dei test: dopo tanti anni un fenomeno chimico, un incidente, una malattia, potevano avere alterato le loro caratteristiche cerebrali. Terios la guardò con un’occhiata di disprezzo e, senza voltarsi, uscì dall’aula.
Rimasti soli i quattro allievi subito solidarizzarono. Occorreva trovare un modo per uscire da quella situazione ridicola.
Convincere Terios che si stava sbagliando era impossibile: lì dentro evidentemente non accettavano obiezioni ed usavano anche mezzi violenti per avere ragione, lo schiaffo che si era beccato Daug non era davvero una carezza.
“Quando si accorgeranno che non siamo all’altezza ci manderanno via, dobbiamo solo avere pazienza” osservò Berosi.
“Già, ma magari non sono disposti ad ammettere il loro errore. E se invece di lasciarci andare ci eliminassero?” obiettò la Frinis, che aveva colto nel Professor Terios una vena di sadismo.
“A me hanno offerto un lavoro di aiutante riparatore – disse Daug, cercando di essere ottimista – e penso che non richieda straordinarie capacità, però mi infastidisce dover servire per forza lo Stato. Secondo me quella della superintelligenza è una scusa inventata per avere operai a buon mercato, schiavi del terzo millennio.”
“Le persone che ho visto dentro l’edificio sembrano scienziati, programmatori, tecnici di alto livello, magari sono nel Centro fin dalle scuole primarie e forse, da bambini, anche noi eravamo dotati come loro, ma alla nostra età è difficile recuperare un gap di venti anni! io sono una maestra, conosco i problemi dell’apprendimento!” osservò la Sandris sconsolata.
Intanto la Frinis si era arrampicata sulla finestra per tentare di evadere, ma appena messo un piede fuori era rientrata precipitosamente. Un grosso cane robot, appostato all’esterno, aveva tentato di azzannarla. Lo spavento le provocò una crisi di nervi ed anche la maestrina cominciò a urlare istericamente: mentre il caos regnava nell’aula, entrò l’anziana signora che aveva fatto da guida a Daug.
“Che cosa vi avevo raccomandato? Non fate domande! il professor Terios è molto nervoso, non tollera obiezioni. Ora seguitemi, devo affidarvi ai vostri tutor.”
“No, mai, non mi separerete mai dai bambini, mai – urlò la maestrina – non avete il diritto di farlo, non potete cambiare la mia vita” e, come un toro nell’arena, si gettò con la testa in avanti contro il muro. Il colpo fu terribile, il cranio si spezzò e la ragazza, crollata a terra sanguinante, iniziò a rantolare. Subito entrarono dei robot infermieri, caricarono la moribonda su una barella e la portarono via. Anche la Frinis, in preda alle convulsioni, venne trascinata fuori da due supporter infermieri.
“Ora seguitemi e mantenete la calma, per favore” disse l’accompagnatrice ai due superstiti che, scioccati, uscirono dalla stanza senza proferire parola.
Continua….
Rosanna Bogo
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