Quinta Parte

Qui la quarta parte.

Quando finalmente chiuse la porta, Daug appoggiò la fronte al muro e si mise a piangere. Di solito non si scoraggiava facilmente e prendeva tutto alla leggera, ma quella sera, per la prima volta in vita sua, si era reso conto che anche un idraulico senza precedenti, un tipo qualsiasi che conduceva una vita insignificante, un uomo privo di ambizioni e di pretese poteva entrare nel mirino del Potere e rischiare di cadere nel gorgo del “ricondizionamento”.

Tornò nella cucina-soggiorno e guardò con odio il cercapersone posato sul tavolo: lampeggiava ininterrottamente, come per dire “chiama, chiama il tuo premuroso supervisore, lui risolverà ogni problema perché vuole che tu sia felice”.

“Questione di punti di vista!” mormorò tra sé Daug, raccogliendo le copie dei contratti che aveva firmato. Non ebbe il coraggio di leggere subito i termini della sua “condanna”, lo avrebbe fatto l’indomani, al ritorno dal lavoro. Quella sera voleva vedere gli amici, bere, divertirsi, essere se stesso forse per l’ultima volta.

Si fece la doccia, si vestì e uscì, lasciando il cercapersone in salotto. Dopo tutto il correttore gli aveva detto di usarlo in caso di necessità, non di tenerlo sempre con sé.

Salì in macchina e disse: “Portami al ‘Gearloose’, Alfred, ma guida con prudenza!”

“Com’è andata con il correttore?”

“Quando ti ricorderai che sei solo una macchina? E poi, se permetti, sono fatti miei!”

“Ti ha dimezzato o no la multa?”

“Io non parlo con una macchina” replicò con insolita durezza Daug.

“Certo, tu parli solo con grassoni ubriachi. Ma loro neanche ti ascoltano e di certo non sono in grado di darti buoni consigli quando sei nei guai, ammettilo” Alfred era un tipo testardo, quando voleva sapere qualcosa da Daug riusciva sempre a sciogliergli la lingua, magari con una provocazione.

“E va bene. Ho seguito il tuo suggerimento e, se proprio lo vuoi sapere, il correttore ha annullato la multa e distrutto la mia vita! Ora lasciami in pace.”

“Per le tue tasche è andata più che bene…ma che diavolo è successo poi?”

“Quel tale, il mio ‘benefattore’, mi ha proibito di frequentare gli amici del cyberbar. Inoltre, grazie a lui, ho un nuovo lavoro, 24 ore alla settimana come apprendista riparatore hardware per lo Stato, neanche fossi uno schiavo con la palla al piede.”

“E tu sei stato zitto, non hai protestato?”

“Lo sai cos’è il Correzionale? Magari è lì che hanno chiuso il tuo padrone.”

Alfred tacque. Daug si chiese se, non volendo, aveva scoperto una dolorosa verità che il suo car-supporter nascondeva con cura.

“Davvero il tuo primo padrone sta in carcere?”

“Non lo so. Dopo l’incidente non ho più avuto sue notizie. Però non credo che lo abbiano messo dentro: era un pezzo grosso, uno dei creatori di OMNIA e i padri della patria non si mettono in galera, neanche quando se lo meritano.”

“E cos’è OMNIA?”

“Beh, quando diventerai un riparatore hardware e magari un programmatore lo scoprirai, ora neppure capiresti di cosa parlo, se un povero idraulico vittima del Sistema!”

“Lo sai, a volte parli proprio come un maledetto moralista!”

“Vacci piano con gli insulti, figlio di un floppy! Beh, dalla puzza di vomito direi che siamo arrivati al “Gearloose”. Divertiti, sarà l’ultima volta… programmatori e tecnici hardware stanno in un altro mondo: il mio padrone diceva che sono gli uomini d’oro di Platone, non vivono come la gente comune.”

“Platon il giocatore di palla plutonica?” chiese Daug, ma si pentì subito della domanda, certamente il padrone di Alfred si riferiva ad un personaggio storico, qualche genio del passato di cui lui non aveva mai sentito parlare. Per un attimo Daug si vergognò della sua ignoranza.

Alfred tacque, in attesa di essere disattivato.

“Pensi che sia un idiota, vero?” disse Daug.

“Disattiva car-supporter, disattiva car-supporter” ripeteva Alfred. Era il suo modo di chiudere le conversazioni che lo infastidivano. Daug, indispettito, uscì sbattendo la porta.

Dall’interno sentì chiaramente Alfred esclamare “Idiota”.

Daug sperava che gli amici gli risollevassero il morale, ma non aveva fame e neppure sete: la birra, i panini alla salciccia e il gelato di fragole e panna questa volta non bastavano a fargli tornare il buonumore.

“Non hai motivo di preoccuparti – gli disse Fatty, il più navigato dei suoi amici – i correttori, al massimo, ti fanno alzare la glicemia con le loro sdolcinatezze: è vero che possono svuotarti le tasche e mandarti in vacanza tra le vacche, ma per il resto sono innocui. Io lo so bene, quasi tutte le settimane me ne trovo uno alla porta di casa, e il ritornello non cambia mai: Gorgy non bere, Gorgy non fumare, Gorgy non mangiare porcherie, pensa alla salute! Parlano come se il mio corpo fosse roba loro: in realtà vogliono solo risparmiare sulle cure e così, la settimana scorsa, per spaventarmi, mi hanno tolto l’assistenza medica. Ma io me ne frego e mi godo la vita. Tutti, prima o poi, dobbiamo morire e il vecchio Fatty non intende arrivare alla tomba in salute.”

“Beh, ti assicuro che il correttore venuto da me non era affatto un tipo innocuo – replicò Daug – senza tanti giri di parole mi ha messo con le spalle al muro: secondo lui sono un  potenziale delinquente pronto per il Correzionale”

“Non farmi ridere!… tu un delinquente! Ma se non hai mai avuto nemmeno una segnalazione per ‘infrazione sanitaria’ o ‘attività antisociali’: al massimo sei un perdigiorno ignorante come noi e, vedi bene che, per il momento, nessuno ci ha costretti a cambiare vita o ci ha messo al gabbio.”

Gli altri compagni erano già brilli da un pezzo e non avevano neppure ascoltato il racconto di Daug. Anche Gorgy, detto Fatty, dopo un po’ si stancò di fare conversazione con Daug e si mise a bere alla grande.

Demoralizzato e deluso, Daug decise di tornare a casa: almeno avrebbe dormito e l’indomani si sarebbe presentato riposato al cantiere. Probabilmente era il suo ultimo giorno di lavoro come idraulico e doveva finire di sistemare l’impianto di una villetta. Il suo robot lo attendeva per le otto.

In macchina Alfred non disse una parola. All’arrivo rispose al saluto del suo padrone con un freddo “disattivare car-supporter”.

“Gli amici se ne fregano di te – disse Daug parlando alla sua immagine nello specchio del bagno – e persino Alfred ti considera uno stupido. Il sistema ti vorrebbe mandare in galera ma, per il momento, si accontenta di metterti ai lavori forzati: come direbbe il nonno, sei proprio caduto nella  concimaia, vecchio mio!”.

Mentre apriva il divano letto il cercapersone sul tavolo si mise a suonare. Evidentemente era un vero e proprio telefonino con un’unica linea. Daug spinse quasi con timore il tasto rosso:

“Come va, tutto bene sig. Danai?” era la voce del correttore.

“Si signore, sto andando a dormire.”

“Ha salutato i suoi compagni del cyberbar, vero? Le separazioni sono sempre tristi, ma credo che non sentirà la mancanza di quei pessimi soggetti.”

“Lo credo anch’io” rispose Daug, e in parte lo pensava veramente.

“Dato che il suo risvegliatore non funziona, domani la chiamerò alle sette in punto. Però non dovrà recarsi in cantiere, ma al Centro Formazione Hardware. Si presenti alle otto, ben rasato e pulito, gli insegnanti ci tengono all’aspetto esteriore degli allievi. E si ricordi: lei non è più un idraulico! Ascolterà una breve lezione e poi incontrerà il suo istruttore, il Capo riparatore Adler Dot. Mi raccomando, lo chiami sempre Capo, mai signore Dot o per nome. Questo è tutto…sogni d’oro, giovanotto, anzi, se permette, buona notte caro Daug! ”

“Buona notte, signor correttore” rispose Daug, ormai incapace di opporre una qualsiasi resistenza alla volontà del suo supervisore.

“Chiamami pure Ector: a domani!” rispose il correttore.

Il cercapersone si spense emettendo un’armoniosa melodia che fece addormentare rapidamente il futuro apprendista riparatore Daug Danai.

Alle sei e mezza il cercapersone cominciò ad emettere un insopportabile fischio a bassa frequenza: l’unico modo per farlo smettere era premere il pulsante e rispondere.

“Buon giorno, Daugh, sono Ector. Ho pensato di svegliarla un po’ prima perché possa scegliere un vestito adatto e radersi con cura. Non vorrà fare brutta figura proprio il primo giorno!” disse il correttore, con tono più d’incoraggiamento che di rimprovero.

“Non si preoccupi, signor Ector – rispose sbadigliando Daug – farò del mio meglio. Però vorrei salutare il mio robot aiutante, sa, abbiamo lavorato insieme per tre anni e mi dispiace doverlo vendere.”

“Non si preoccupi. Ho già provveduto io e il ricavato le sarà addebitato sulla carta elettronica entro il mese. Ci risentiamo stasera, così potrà riferirmi le sue impressioni sulla prima giornata del nuovo lavoro. Sursum corda, ragazzo mio! e in bocca alla Betta!”

Daugh si stupì che Ector usasse quello strano modo di dire che aveva sentito ripetere tante volte da suo nonno Alfred, un semplice contadino vissuto sempre in campagna lavorando i campi con l’aiuto di un paio di scassati robot, poco più che macchine agricole. Con lui Daug aveva trascorso i primi anni di vita fino a quando, come tutti i ragazzini, era entrato in istituto per iniziare gli studi. Una volta gli aveva chiesto cosa fosse esattamente una Betta ed il vecchio aveva tirato fuori da un cassetto un’antica foto sbiadita raffigurante un’enorme macchina scavatrice, risalente a forse due secoli prima.

“Questa era la Betta – aveva mormorato – mangiava le case della povera gente e sputava terra nera. Mio nonno, da bambino, ha vista la Betta distruggere un intero paese in pochi minuti. Ma in fondo non era cattiva, ti dava il tempo per fuggire e portarti via qualche mobile e i vestiti. Sempre meglio di un terremoto o un tornado, non ti pare?!”. Il vecchio era fondamentalmente un ottimista, cercava sempre di vedere un lato buono anche nelle disgrazie. Quando Alfred junior era morto, travolto da una seminatrice guasta, lasciando un figlio piccolo da crescere, aveva fatto scrivere sulla lapide del figlio ‘Almeno non vedrà la grandine di domani.’

Continua….

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Rosanna Bogo