Quarta Parte.
Qui la Terza Parte.
Coriolano uscì dallo Studio Traini quasi allegro. Si sentiva stranamente sollevato:
“E’ ovvio che sia così – pensò con amara ironia – il più è fatto, ora non resta che recidere lo stame, come avrebbe detto la professoressa Pollini, la mia vecchia insegnante di greco”. Si avviò quindi verso casa con l’animo fermo di un Ciro Menotti o un Cesare Battisti.
Era da poco rientrato nel suo appartamento quando, nonostante il baccano proveniente dal piano superiore, sentì squillare il telefono. Rispose di malavoglia: solo un rompiscatole poteva essere così maleducato da telefonare, all’ora di cena, in una casa di gente perbene.
“Sei tu, Marcantonio?” Coriolano riconobbe subito la voce di Carlo Traini. Sembrava agitato.
“Sì, certo. C’è qualche problema con il testamento?”
“No, no, stai tranquillo, ma mio padre ti vuole vedere. E subito, qui, a casa nostra. Ti ricordi dove abitiamo, vero?”
“Certo – rispose Coriolano, stupito dall’invito. Come poteva non ricordare la magnifica villa dei Traini e l’immenso giardino in cui aveva trascorso tanti pomeriggi studiando, ma anche giocando a tennis, con l’amico Carlo ed il fratello maggiore, Nicola – se è cosa veramente urgente arrivo in mezz’ora”.
Quando giunse alla villa il cancello era aperto e Carlo lo attendeva davanti al portone. Insieme entrarono nella grande biblioteca che, da sempre, era lo studio privato di don Casimiro.
Il vecchio notaio sedeva, al solito, nella sua maestosa poltrona di marocchino davanti alla scrivania di mogano che aveva ereditato dal bisnonno, ministro di “Franceschiello”, l’ultimo re di Napoli. La mano sulla fronte, fissava senza espressione una scacchiera posata sul piano di cuoio verde, evidentemente stava giocando una partita con il figlio, e non degnò di uno sguardo il suo ospite. Carlo, con un cenno, fece accomodare l’amico su un divanetto: in simili situazioni, in casa Traini, si doveva aspettare in reverente silenzio. Dopo qualche secondo, don Casimiro sollevò un alfiere e lo piantò sulla tavola da gioco con un colpo secco, esclamando “Scacco matto”.
“Tanto avevo già capito che avresti fatto quella mossa, ero morto da un bel po’ – disse Carlo con tono indifferente, raccogliendo pedoni, re, regine, cavalli, alfieri e torri in un elegante cofanetto d’ebano – non è un segreto che a scacchi sei un campione, vero Marcantonio?”
“Già, Marcantonio…- borbottò tra sé il vecchio notaio e, come se solo in quel momento si rendesse conto della presenza di una terza persona, alzò la testa.
Fissò Coriolano dritto negli occhi poi, con la voce gelida che usava solo nelle situazioni più serie, disse “Ma il cervello, Marcantonio, ti funziona ancora? e sì che sei pure laureato in matematica! Povero padre tuo, quanti quattrini sprecati: sei un testone, proprio un testone!”
“Mi… scusi, dottor Traini, ma… non so di cosa sta parlando” rispose balbettando Coriolano.
“Ah no? Ma davvero? – replicò il vecchio, impostando la voce su un nuovo tono, più cavernoso – insomma, Marcantonio, ce l’hai o no il cancro? Avevo appena messo in bocca il primo cucchiaio di minestra e questo scimunito di Carlo mi racconta che non stai affatto per morire ma sei solo un po’ “esaurito” per colpa di un figlio di cagna che ti rompe i timpani. E che scherziamo!? Guarda che io di “ultime volontà” ne ho raccolte a migliaia, lo sento dall’odore quando un uomo sta per andarsene…. ohé, io non dico sciocchezze, bello mio! tu oggi puzzavi di tomba e invece scopro che sei sano come un pesce!”
“Non capisco…”rispose Coriolano schernendosi
“Ma sì che capisci, capisci tutto. Hai un problema e devi trovare una soluzione, ma non quella a cui pensavi questo pomeriggio. Usa il cervello e vedrai che un sistema per uscire dalle peste lo trovi… non è detto che debba essere per forza legale… e se proprio non sai che fare, torna da me: al paese, giù in Calabria, conosco persone che i pidocchi li schiacciano con un’unghia. Ascolta bene quello che ti dico e impara: Casimiro Traini sta con la legge finché la legge sta con Casimiro Traini, poi vale la regola di Dio, occhio per occhio, dente per dente, male per male. E’ scritto nella Bibbia.”
“Lo so, ma vede… io ho un carattere pacifico e in famiglia mi hanno educato a non reagire mai con la forza, a rispettare la legge…non è colpa mia se il codice, in questo caso, non può aiutarmi”
“Aiutarti? Ma davvero pensi di difenderti dal male nascondendoti dietro un pezzo di carta? Credimi, ti fa tanto quanto l’acqua benedetta, figlio mio! Non vuoi reagire…allora, secondo te, nella partita della vita quando “non abbiamo carte” dobbiamo passare parola e lasciare che il banco del diavolo vinca il piatto”? Qui non si tratta semplicemente di rumori molesti, ma dell’eterna lotta tra bene e male. Ammettiamo pure che nel tuo caso il male si sia manifestato in una forma minore, un po’ ridicola forse, ma il succo della faccenda è lo stesso: di fronte al Signore il suicidio vale quanto l’omicidio. L’altra guancia l’hai offerta, hai perdonato settanta volte sette, hai cercato la protezione della legge? Bene, ora è tuo dovere difenderti. E con ogni mezzo!”
Coriolano taceva, davvero non aveva più parole: quel vecchio che lo istigava alla vendetta, addirittura all’omicidio, e gli offriva i servigi di un sicario, veniva considerato da tutti un uomo saggio, un amante dell’ordine, un esempio di probità. Non riusciva a credere alle sue orecchie.
“Che c’è, sei diventato di sale, come la moglie di Lot? Non avrai mica paura di me? – chiese ironico don Casimiro – ed anche tu, Carlo, non mi fissare con quell’occhio di triglia!”
“No, non sono spaventato, – disse Marcantonio con un filo di voce – ma mi stupisce che una persona così… un uomo come lei…”
“Come me…- replicò quasi adirato don Casimiro – che ne sai tu di come sono fatto io, quali battaglie ho combattuto, che rischi ho corso nella vita: ora parole come legge o giustizia mi fanno quasi ridere ma, all’inizio della carriera, per sette anni, ho fatto il magistrato e mia moglie due volte ha abortito per lo spavento: mi sparavano ai vetri delle finestre, mi ammazzavano i cani, mi bucavano le gomme dell’auto, incendiavano le mie masserie… e chi pensi che mi proteggesse, allora, la forza pubblica, la legge, il pezzo di carta? No davvero! Ero io, Casimiro Traini, che passavo le nottate in cima alle scale di casa con la lupara caricata a pallettoni, per salvarmi la vita. E ci credevo davvero, a quei tempi, nella vittoria finale del bene! ma quando stai in trincea circondato da lupi e Iscarioti pronti a pugnalarti alle spalle, impari a combattere con le unghie e coi denti o crepi. Durante la guerra sai come chiamavamo i fantaccini delle truppe fresche: “i morti che camminano”. Appena arrivati al fronte, se non imparavano subito a difendersi, cadevano giù come mosce … E poi, se insegui i ratti nelle fogne, non devi fare lo schifiltoso. A me comunque il coraggio non mancava… e neanche l’esperienza, però amavo mia moglie, volevo avere dei figli; così ho disertato e sono entrato nello studio di mio padre notaio, buonanima. Mi sono messo al riparo di una scrivania, ma grazie a Dio, ho fatto in tempo a comprendere come gira il mondo: il male lo combatti solo con un male maggiore, come le malattie con i vaccini, altrimenti sei spacciato. E questa verità l’ho spiegata per filo e per segno a mio figlio Nicola che fa l’avvocato penalista e sono sicuro che lettere con i proiettili, a lui, non le hanno mai spedite.
A Carlo non avevo detto nulla, fino ad ora: un notaio il male lo incontra solo di sfuggita, ha la decorosa forma dell’auris sacra fames che rode dall’interno le famiglie. Però quando quel testone, a tavola, mi ha raccontato che non sei affatto in punto di morte mi sono detto è l’ora che sturi un po’ le orecchie a questa coppia di scimuniti, così prendo due piccioni con una fava.”
Il vecchio all’improvviso tacque: forse il lungo discorso l’aveva un po’ affaticato. Da un bicchiere sfaccettato come un diamante sorbì una lunga sorsata di un liquido trasparente, di certo non era acqua. Poi riprese a parlare, ma con tono più pacato.
“Mi rendo conto che avete passato la cinquantina da un pezzo – disse, posando il bicchiere – ma le nespole nella bambagia non maturano mai. Niente guerra, niente miseria, niente fucilate alle finestre! Che ne sapete voi di come si deve comportare un uomo quando è alle corde, quando rischia la vita sua e di altri, quando il limite tra bene e male diventa più sottile di un capello e la coscienza se ne sta rimpiattata in un angolo.
Io, a neppure vent’anni, già portavo la divisa da sottotenente: avevo i gradi d’ufficiale ma ero ingenuo come un neonato, eppure ho dovuto vedere e fare cose terribili, cose che anche oggi, a ripensarci, mi fanno venire un tuffo al cuore. E durante la ritirata dalla Russia, quando mi buttavo nei mucchi di neve deciso a rimanere lì, solo tuo zio, il capitano degli alpini Achille Coriolano, riusciva a farmi rialzare. “Se ti lasci andare, “mangialimoni” – mi sussurrava in un orecchio, perché i miei soldati non perdessero il rispetto – il freddo ti addormenta dolcemente e poi ti uccide. Resisti, il gelo è un gran seduttore. Fatti forza, pensa ai genitori, pensa alla morosa che ti aspetta! sei giovane, hai ancora tanti anni da vivere… ora stai in ginocchio e vorresti chiudere gli occhi per sempre, ma devi rimetterti in cammino e tirarti dietro questi disgraziati che ti chiamano comandante! Fidati di me, se metti un piede avanti all’altro, prima o poi arriverai a casa!”. E così è stato. Sante parole, lasciarsi andare, rinunciare alla lotta sembra sempre la soluzione migliore, ma che mondo sarebbe se tutti ci buttassimo nella neve …” don Casimiro di nuovo tacque e bevve un sorso del suo liquore. La lezione del vecchio notaio però non era ancora finita:
“Ogni tanto, quando ero più giovane – proseguì, dopo qualche secondo di silenzio – tornavo al paese durante la stagione di caccia. Andavo nel bosco, da solo, e mi facevo delle belle battute al cinghiale! poi, passato qualche giorno, in piazza si accorgevano che tizio e caio erano spariti: s’intende, malavitosi, latitanti di quelli che i carabinieri non trovano mai perché si nascondono in casa loro, delinquenti che si divertono a sparare contro le finestre dei magistrati. Ma ci vuole ben altro per fare paura a Casimiro Traini! Sapete cosa dà forza ai criminali? La convinzione di non trovarsi mai di fronte una vittima peggiore di loro. Considerano gli altri, quelli che non appartengono alla razza dei prepotenti, dei violenti, dei malvagi, conigli impauriti, timorosi di Dio e della legge.” Pronunciando la parola “legge” don Casimiro sputò con violenza nel vicino caminetto, un gesto per lui insolito:“Abbiate pazienza – borbottò – alla mia età si diventa bavosi peggio dei cani”. Ma le sue labbra – notò Coriolano – erano perfettamente asciutte.
“Ormai viviamo in un teatro di pupi: ti tocca la parte del buono? devi subire! sei matamoros? fa pure quello che vuoi. Ma questo – proseguì don Casimiro – è un mondo invilibile per i vecchi come per giovani, solo loro, i cattivi, ci stanno bene … No, non è giusto! Gli ebrei dicono chi salva una vita salva il mondo intero, ecco, io ho un motto simile che mi ripeto sempre Chi elimina un malvagio migliora il mondo. Riguardo al metodo, la scelta dipende dalla situazione e dal carattere di chi combatte dalla parte del bene”.
Carlo e Marcantonio erano basiti. Il figlio del notaio sembrava ancora più frastornato dell’amico perché, fin da bambino, aveva sempre provato una specie di venerazione per il padre: lo considerava un San Michele con la bilancia e la spada infuocata ed ora scopriva che, in realtà, era un individuo capace di tutto, una superuomo “nicciano” armato di lupara, forse un assassino.
Alla fine Coriolano decise di reagire: certo non poteva affermare di vivere in una società perfetta, ma il pessimismo del vecchio notaio gli sembrava francamente esagerato:
“Don Casimiro – disse con voce ferma ma gentile – noi non siamo nel Far West!!”
“Davvero, caro il mio professorino? E dove credi di trovarti, nell’Eden, nella Terra che erediteranno i poveri di cuore o magari nel Regno dello Spirito? La tua, Marcantonio, non ti sembra forse una situazione da Far West? Se ci pensi bene è un duello all’ultimo sangue, un “mezzogiorno di fuoco” condominiale: da una parte un teppista, uno zero umano armato di stereo che crea solo danno alla collettività, dall’altra un onesto professore inerme, una persona che svolge un lavoro utile e ha sempre rigato diritto. Chi credi che uscirà vivo dalla sparatoria? E dov’è lo sceriffo che dovrebbe difenderti, dov’è il capestro che dovrebbe punire il delinquente, dov’è la mano di Dio che dovrebbe proteggere il giusto? – esclamò il vecchio, alzando la voce in un crescendo irato – Magari vivessimo nel Far West! questa è la Jungla, la Foresta primordiale dove si lotta per la sopravvivenza! Ora vai a casa, testone – aggiunse con tono più pacato – e pensa, pensa a come bastonare il cane rabbioso che cerca di azzannarti. E lascia stare il suicidio, è roba da vigliacchi! Io in Russia ho sparato in testa a ragazzini di quindici anni armati fino ai denti: mi sentivo spregevole però dovevo farlo: o io o loro. Ma quando tornavo da certe battute di caccia, al paese, mi sentivo proprio allegro, ero contento perché al mondo c’era un porco selvatico di meno. E da allora ho sempre dormito di gusto, beato come un bambino: con Casimiro Traini il Male non la spunta!”.
Carlo e Marcantonio si sentivano come quando, da studenti, si affacciavano alla porta della biblioteca implorando aiuto per una versione dal De Bello Gallico. “Neppure quel soldataccio di Cesare riuscite a tradurre, scimuniti” gridava il notaio padre, ma poi, in pochi attimi e senza l’aiuto del vocabolario, restituiva il foglietto con il testo corretto e scorrevole.
Il discorso di don Casimiro conteneva senza dubbio un messaggio, non era il vuoto farneticare senile di un uomo sconfitto e amareggiato. Ma cos’era il male di cui parlava, si chiedeva Coriolano, un’entità reale, un concetto metafisico o solo la banale cattiveria che anima tanti individui, non sempre veri delinquenti. E il male può essere mai veramente banale?
“Su, via, lasciatemi solo – disse brusco don Casimiro. I ricordi di guerra lo rendevano sempre ombroso.
“Ho parlato anche troppo – aggiunse – ma non volevo avere sulla coscienza la morte di un brav’uomo, benché scimunito. Dopo tutto, Marcantonio, sei il nipote di Achille, e con tuo zio sarò sempre in debito. Ora vai a casa e rifletti su quello che ti ho detto”.
Era ormai mezzanotte. Coriolano salutò con un abbraccio Carlo, si inchinò leggermente stringendo la mano di don Casimiro e tornò nel suo appartamento: ripose in un cassetto la corda che aveva preparato, già insaponata, e decise di non impiccarsi, non quella sera almeno.
Segue…
Rosanna Bogo
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