Terza Parte.
Qui la Seconda Parte.
Casimiro Traini discendeva da una nobile stirpe di magistrati calabresi: notai, avvocati giudici che avevano servito fedelmente i Borboni e poi, loro malgrado, i “Piemontesi” e la Repubblica.
Ormai era un anziano signore leggermente claudicante ma, anche appoggiato al suo inseparabile bastone, conservava l’aspetto imponente ed autorevole di un tempo. Indossava sempre eleganti doppiopetto di sartoria e portava i candidi capelli, insolitamente lunghi, sciolti sulle spalle: già al primo sguardo la sua figura enigmatica incuteva una strana soggezione, nel secolo di Mesmer si sarebbe detto un uomo dotato di “magnetismo”.
In campo professionale godeva ancora di molta considerazione, i colleghi però lo consultavano solo quando si trovavano di fronte a veri e propri rebus ereditari perché esigeva notule astronomiche; in famiglia, da sempre, ogni suo desiderio era un ordine.
Coriolano non lo incontrava da anni: si erano visti in occasione del funerale della moglie, poi in Studio per la successione e, qualche tempo dopo, per regolare alcune pendenze lasciate in sospeso dal defunto zio Achille. Coriolano di testamento, con lui, non aveva mai parlato, del resto aveva un’unica erede, ma da quando si era messo in mente di farla finita avvertiva la necessità di lasciare tutto in ordine, un desiderio quasi ossessivo di stabilire minuziosamente cosa dovesse accadere dopo la sua dipartita.
“E’ un’idea sciocca – si era ripetuto per giorni – che m’importa del “dopo”! quando sarò cadavere per me il mondo smetterà di esistere”, però, alla fine, aveva deciso di chiedere un appuntamento con il vecchio notaio Traini: ora, da vivo, poteva ancora decidere qualcosa, influire nel bene o nel male sull’esistenza degli altri e non voleva rinunciare a quest’ultima opportunità di agire, benché post mortem.
Quando si trovò faccia a faccia con don Casimiro Coriolano, come al solito, iniziò a balbettare.
“Andiamo, Marcantonio, smetti di bofonchiare e sbrigati a dire quello che hai sulla punta della lingua, per noi vecchi il tempo è prezioso! Perché hai chiesto di vedermi, e poi con tanta fretta?” chiese il notaio, evidentemente spazientito.
Di fronte ad una precisa domanda Coriolano riprese il controllo di sé e rispose prontamente:
“Ho intenzione di fare testamento…”
“Beh, un ragazzo non sei più da un pezzo, sentiamo cos’hai in testa. Per caso qualche bella signora? Vedessi la badante ucraina che ha portato in casa mia nuora…se non fossi un uomo di sani principi… però ricordati che un figlio non si può diseredare, anche quando se lo merita”
“Lo so, don Casimiro, ad Ada andrà comunque la legittima, la metà dei miei beni, se non sbaglio, ma un quarto voglio lasciarlo direttamente alle mie nipotine, con la raccomandazione di utilizzare il denaro che riceveranno da un nonno visto solo in fotografia per vivere in modo del tutto opposto ai desideri della loro madre”
“Però non deve sembrare un’imposizione, altrimenti è meglio fare una donazione modale – osservò il vecchio Traini in tono professionale, aggiungendo con voce più profonda – concesso che la vendetta familiare sia una condizione ammissibile”.
“No, no, niente donazione, il mio è solo un consiglio. Però mi piacerebbe davvero che Ada sperimentasse quello che ha fatto passare a me e a mia moglie, le sue continue ribellioni… e la solitudine degli ultimi anni”
“La vita, figlio mio, è una ruota: gira, gira, gira, come una macina… prima siamo chicchi duri, poi diventiamo farina bianca e così scivoliamo via: neanche ce ne accorgiamo e siamo già nel sacco. Puf! e tutto è finito! Credi a un vecchio che ha visto fin troppe cose – aggiunse il notaio – alla fine anche la tua Ada masticherà amaro, e senza bisogno di certi suggerimenti paterni.”
Marcantonio tacque rannicchiandosi nella poltroncina: il rimprovero era velato ma per chi, come lui, conosceva bene il vecchio Traini equivaleva ad uno scappellotto.
Coriolano non era ricco però si poteva senza dubbio definire benestante. Oltre all’appartamento in cui viveva, possedeva un sostanzioso deposito di titoli ed un notevole conto in banca: era l’eredità dello zio Achille che il nipote non aveva mai toccato per una specie di superstizione.
Quello strano parente alpinista che aveva affascinato Marcantonio bambino con il racconto di mirabolanti ascensioni era morto, già anziano, durante una spedizione in Nepal, lasciando al nipote un grosso capitale con la sola condizione di non fare mai cercare il suo corpo, nel caso fosse perito tra i ghiacciai dell’Everest. In famiglia però girava la voce che in realtà lo zio non fosse affatto defunto in un incidente, ma si nascondesse, ormai centenario, in un qualche convento buddista del Tibet. Marcantonio ovviamente non aveva mai dato credito a questa fantasiosa ipotesi ma, in cuor suo, ancora aspettava un improbabile ritorno.
Il notaio Traini conosceva a fondo tutti gli affari della famiglia Coriolano: aprì la cartellina con i documenti bancari che Coriolano aveva portato con sé ed impiegò solo qualche minuto a valutare, approssimativamente, l’asse ereditario. Tolta la legittima di Ada e la parte destinata alle nipoti, rimaneva comunque una somma notevole.
Marcantonio aveva già deciso di fare alcuni lasciti e stabilì le cifre in rapporto alla disponibile calcolata dal notaio: alla domestica che, da qualche anno, si occupava di lui con onesta solerzia assegnò una liquidazione doppia rispetto a quanto stabilito dalla legge, al suo primo amore, la timida Marisa Guazzi, legò un sostanzioso gruzzolo, sufficiente per un vitalizio. Amici comuni gli avevano riferito che se la passava proprio male con la misera reversibile del marito.
“Però non desidero rivederla – precisò subito Coriolano, temendo qualche sarcastico commento da parte di don Casimiro – ma così, almeno lei, mi ricorderà con affetto e riconoscenza.”
“E quanti anni ha, meno di te, la tua Marisina?” si limitò a chiedere, con voce fredda, il notaio.
“Eravamo nella stessa classe…anche Carlo la conosce” rispose Coriolano, riprendendo la lettura del suo elenco, senza comprendere il motivo della domanda.
Al fratello di latte, un contadino con cui si scambiava gli auguri a Natale e Pasqua, regalava il necessario per comprare un motocoltivatore nuovo, bastava a renderlo felice, infine aveva pensato ai tre clochard cui da anni faceva l’elemosina, percorrendo la strada da casa a scuola: per loro accantonava una piccola somma da consegnare periodicamente.
Coriolano aveva preparato anche un’accurata lista dei suoi beni mobili: l’elenco comprendeva la macchina, i libri, gli arredi, i quadri, i gioielli della moglie, la raccolta di francobolli e di monete, i vestiti e tutte le altre cose di qualche valore che si trovavano nell’appartamento e nella cassetta di sicurezza in banca: accanto ad ogni voce aveva indicato a chi, amico, parente o conoscente, doveva andare quello specifico oggetto dopo la sua morte.
Tanto Ada non avrebbe preso nulla da casa, neppure le foto di famiglia, e non era giusto che tutto quel ben di Dio finisse nel bidone della spazzatura o nel negozio di un rigattiere.
“Probabilmente non verrà neppure al funerale, come ha fatto con la madre” pensò all’improvviso Coriolano e, sul momento, decise di nominare suo esecutore testamentario il biscugino avvocato. Avrebbe provveduto lui alle pratiche per l’apertura della tomba di famiglia, alle spese delle pompe funebri, agli annunci mortuari, alla lapide, alla consegna dei lasciti. Era una persona affidabile, oltre che un buon parente, e si sarebbe comportato di certo con grande correttezza.
“Di rado, in oltre mezzo secolo di attività, ho incontrato qualcuno che non fosse un gran signore, intendo dire un latifondista, un principe o un industriale, tanto preoccupato di stabilire la destinazione dei propri beni – osservò il notaio Traini con voce profonda, quasi cavernosa – sei davvero attaccato al mondo materiale, Marcantonio. Per fortuna non hai cani o gatti…altrimenti avresti nominato un tutore anche per loro”
“Lei mi conosce fin da bambino, don Casimiro, sa bene che non ho mai dato importanza alle questioni economiche: il denaro, il lusso, i divertimenti non mi interessano; invecchiando però, devo ammetterlo, ho fatto amicizia con le cose, del resto gli esseri umani che amavo se ne sono andati tutti. Sottoterra o agli antipodi, che differenza fa? Moglie, figlia, genitori, anche lo zio Achille buonanima. Così mi fa piacere pensare che quel certo quadro sarà ospitato a casa di un collega che lo ha sempre apprezzato o la collana di perle e coralli di mia moglie rallegrerà quella sua cugina di Milano a cui tanto piaceva e la domestica sarà certo felice di avere a casa sua l’aspirapolvere, il forno, il frullatore che, per anni, ha usato con rispetto e cura. A lei, don Casimiro, ho lasciato la medaglia d’argento al valor militare di mio zio. Sono sicuro che l’apprezzerà… Devo considerarmi per questo un uomo meschino?”
“No, certo che no…- rispose il vecchio, un po’ contrariato per aver mosso una critica effettivamente ingiusta – non volevo rimproverarti. Comunque avanza ancora qualcosa: per l’anima e per la Chiesa non intendi lasciare nulla?”
“Con il Cielo, lo sa, ho sempre avuto pessimi rapporti. La carità che serve l’ho prevista: il funerale con l’organo e l’incenso o le messe di suffragio non mi interessano e, se esiste, probabilmente non interessano neanche a Dio” rispose seccamente Coriolano.
Il notaio scosse la testa, ma in senso verticale: approvava in pieno l’osservazione di Marcantonio:
“Me lo immaginavo – disse a mezza voce don Casimiro – ma volevo accertarmi che l’omissione fosse intenzionale. Come dice il proverbio Quando il corpo si frustra l’anima si lustra e spesso, al momento di fare testamento, si cambia idea su certe faccende…sapessi quanti voltafaccia di mangiapreti ho visto in mezzo secolo di professione!”
Terminata la stesura del documento, sottoscritto come testimoni dalle segretarie dello Studio, notaio e cliente si salutarono.
Don Casimiro divenne all’improvviso stranamente affettuoso e volle addirittura abbracciare e baciare sulle guance Marcantonio: aveva l’età di suo figlio, lo conosceva da sempre, e pensava fosse colpito da una malattia che gli lasciava pochi mesi di vita. Un vecchio soffre sempre quando si vede superato al traguardo della morte da qualcuno che ricorda in pantaloni corti. Una lacrima cercò addirittura di superare l’argine invalicabile del suo ciglio.
Segue…
Rosanna Bogo
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